Vincent Calabrese, da Napoli alla Svizzera per una carriera che lascerà il segno

Bellezza e precisione senza veli

A tredici anni è apprendista orologiaio nel rione Sanità. A quattordici ripara orologi in proprio da casa. Prima dei diciotto anni parte per la Svizzera. Nel 1977 crea il suo primo prototipo che gli vale la medaglia d’oro al Salone Internazionale delle Invenzioni di Ginevra. È solo l’inizio della storia di Vincent Calabrese, un autodidatta che ha raggiunto le vette più alte dell’orologeria mondiale.

Vincent Calabrese

◗ Signor Calabrese, dopo 63 anni in Svizzera si sente ancora un po’ italiano?

Per capire quanto sono orgoglioso di essere italiano, e napoletano, pensi che in Svizzera pur essendomi sempre trovato benissimo non ho mai voluto chiedere la cittadinanza e non la chiederò mai. 

◗ È nato proprio a Napoli?

Sì, nel gennaio 1944 in un basso di via Savarese, rione Materdei. Ero un ragazzo leale un po’ ribelle. Una volta a scuola mi capitò di prendere le parti di un compagno più debole, e la vicenda si concluse con la mia espulsione. Avevo 13 anni.

◗ Diventò subito orologiaio?

Mia madre non voleva sapermi in strada. Ho fatto il garzone e il fattorino, poi don Peppino, orologiaio nel rione Sanità, mi prese come apprendista a condizione che gli arnesi – pinzette, cacciaviti, punzoniera… – me li comprasse la mamma. Riparavo orologi, fabbricavo qualche gioiellino, facevo di tutto. Ma la paga bastava giusto a comprare le sigarette, così a meno di 14 anni, preferii mettermi a riparare orologi per conto mio, in casa.

◗ Quando è partito per la Svizzera?

Nel ’61, non avevo ancora 18 anni. Partire era quasi inevitabile, perché la Napoli nel dopoguerra, molto legata alle tradizioni e poco aperta alle novità, mi stava un po’ stretta. Avrei anche dovuto fare il militare, che per un carattere indipendente come il mio era un incubo. Dopo aver convinto mamma, fratello e sorella, prendemmo il treno per Neuchâtel, dove abitava uno zio. Quando scendemmo a Le Locle toccai la neve per la seconda volta in vita mia. La prima volta era stato a Napoli nel ’56.

◗ Si immaginava un futuro nel mondo dell’orologeria?

No, ero capitato nel distretto orologiero per caso. Avendo qualche rudimento del mestiere era scontato cercare lavoro nel settore, e dopo una settimana ero già al montaggio nella manifattura Tissot.

◗ So che ha lavorato in molti laboratori…

Avevo mansioni ripetitive, così per cambiare passai a Cyma, poi Zenith, Richard, Hebdomas a La Chaux-de-Fonds, e da Teriam dove diventai capo laboratorio. Nel 1971 mi trasferii a Crans-Montana, la località sciistica dei vip, a dirigere un negozio. Un cliente ci portò un orologio-pendente Breguet dell’800 ammaccato, e volle che riparassi solo la cassa e non il pregevole meccanismo. Per reazione decisi che un giorno avrei creato un orologio che fosse apprezzato non per l’involucro ma per la bellezza del movimento.

◗ Era il momento giusto per fare progetti?

Non tanto. La moda dell’orologio al quarzo costringeva molti colleghi a cambiare mestiere. Ma io tenni duro e frequentai dei corsi da Patek Philippe e Rolex. Imparavo a fare i componenti e li facevo in camera da letto, irritando non poco mia moglie. Finché una mattina sognai, e disegnai subito, il primo “orologio spaziale”, con movimento a vista che sembra fluttuare fra due cristalli.

◗ Quando ha realizzato il primo orologio?

Nel 1977. Il prototipo vinse la medaglia d’oro al Salone Internazionale delle Invenzioni di Ginevra, inorgogliendomi non poco: ero un autodidatta e lavoravo con macchinari datati. Il sottilissimo movimento in oro era in bella vista senza quadrante in una cassa in vetro zaffiro. Corum acquistò i diritti e lo lanciò nel 1980 con il nome, presto famosissimo, di “Golden Bridge”. Per contratto erano obbligati a fare il mio nome, e questa novità alla grande maison non piaceva troppo.

◗ A quel punto ha creato l’Accademia degli Orologiai Creativi Indipendenti?

Ho fondato l’AHCI nel 1985 a mia immagine e somiglianza. Oltre che indipendente sono anche un personaggio scomodo, dico quello che penso. Comunque, poco dopo la nascita dell’Accademia, Jacques Piguet, il patron di Piguet e Blancpain, mi commissionò un tourbillon. Creai un modello con scappamento in linea, il “tourbillon volante” che Blancpain produce ancora oggi.

◗ Dopo il Golden Bridge ha creato altri orologi “spaziali”?

Sì, dando ai movimenti forme sempre diverse, con l’intento di trasformare il mestiere in arte. Ho vinto il premio Gaïa, il Nobel dell’orologeria, e ho brevettato soluzioni e complicazioni, collaborando con Pinko, Cartier, Sellita, Goldpfeil, Bell & Ross. Ma la svolta arrivò con Blancpain.

◗ Ha collaborato molto con loro?

Nel 2006 Marc Hayek, CEO di Blancpain, mi ha affidato la creazione di un carrousel, che lasciò tutti a bocca aperta. Hayek mi propose di vendergli la mia azienda e lavorare in esclusiva per loro, senza allontanarmi dal mio laboratorio di Losanna. Questo mi permise di fare ricerca senza preoccupazioni e con il supporto di due orologiai e un ingegnere. In quattro anni depositammo nove brevetti, ma con mia grande sorpresa la maison non mise in produzione né quelli esistenti prima dell’invenzione del Carrousel, presentato a Baselworld 2007, né quelli dopo. Alla fine nel 2011 ho scelto di tornare indipendente.

◗ L’innovazione della quale è più orgoglioso?

Una premessa: i componenti dell’orologio una volta fabbricati vanno solo messi al loro posto per farli funzionare. La spirale no, non basta applicarla sul bilanciere: avendo un movimento asimmetrico – apertura e chiusura – la molla va regolata, e resta comunque un elemento difficile da padroneggiare. È il punto debole dell’orologio e io sono sempre stato assillato dall’idea di farne a meno. Ora con il sistema Calasys ci sono riuscito, e ne sono orgoglioso. 

◗ Dà l’idea di un impegno titanico…

Ho approfittato del periodo di pandemia per studiare il problema e sperimentare il primo Calasys – nome che deriva da Calabrese Sistema, – dotato non di una ma di due molle, che funzionano una alla volta con perfetta sincronizzazione fra l’andata e il ritorno. Questo ovvia all’asincronismo che caratterizza la spirale. Siamo in volo verso il futuro dell’orologeria…

◗ I prototipi funzionano alla perfezione?

Il primo Calasys l’ho installato su un calibro ETA 2892, dimostrando che funziona anche su un movimento preesistente, e mi sono ripetuto su altri quattro prototipi. Certamente, con un movimento realizzato ad hoc sarà tutto più facile.

◗ Da cosa nasce la sua fortuna di orologiaio?

Gli altri erano schiavi di quello che avevano imparato a scuola, mentre io non ho mai avuto maestri. Nessuno mi ha mai potuto dire “questo è impossibile”.

◗ Quanto è soddisfatto della sua carriera?

Penso che nel settore resterà a lungo traccia di me e delle mie invenzioni, e da parte mia non avrei mai sognato una vita così bella come quella che ho vissuto. Non sono stato profeta in patria, ma forse potrei ancora divenirlo.

Spirale, addio! La precisione dell’orologio meccanico da polso dipende dal meccanismo regolatore. Questa funzione di regolazione è affidata alla spirale applicata sul bilanciere. Ma il movimento asimmetrico della spirale, andata e ritorno, ne fa un organo non facile da governare. La molla ha anche dei punti deboli nell’azione con lo scappamento, nelle possibili influenze del magnetismo e della gravità, nelle conseguenze degli urti. Con l’invenzione del suo sistema Calasys, Vincent Calabrese si propone di mandare in pensione la tradizionale molla del bilanciere. Al suo posto, sull’asse del bilanciere c’è un pignone che ingrana con un rastrello che oscilla come un pendolo, sotto controllo di due bracci elastici che esercitano una forza in opposizione alla rotazione. L’attrito, essendo continuo, è controllabile. Secondo Calabrese il sistema non soffre di usura, deformazioni o instabilità. È stato applicato a movimenti ETA, dimostrandone il buon funzionamento.

https://www.vincent-calabrese.com


Beauty and precision without veils Vincent Calabrese, from Naples to Switzerland for a career that will leave its mark

Beauty and precision without veils Vincent Calabrese, from Naples to Switzerland for a career that will leave its markAt thirteen he was an apprentice watchmaker in the Sanità district. At fourteen he repairs watches himself from home. Before the age of eighteen he leaves for Switzerland. In 1977 he creates his first prototype, which earns him a gold medal at the International Exhibition of Inventions in Geneva. It is only the beginning of the story of Vicent Calabrese, a self-taught watchmaker who has reached the highest peaks of world watchmaking.To understand how proud I am to be Italian, and Neapolitan, think that in Switzerland although I have always had a great time, I have never wanted to ask for citizenship and I will never ask for it. I was born in January 1944 in Naples, I was a loyal but somewhat rebellious boy. When I was 13 years old I was a shop boy and delivery boy, then Don Peppino, a watchmaker in the Sanità district, then, when I was 14, I preferred to start repairing watches on my own, at home. In 1961 then I left for Switzerland and casually began my career in the watchmaking district. Having some rudiments of the trade it was a foregone conclusion to look for work in the industry, and after a week I was already assembling in the Tissot manufacture, then I moved on to Cyma, to Zenith …

In 1971 I moved to Crans-Montana, the VIP ski resort, to run a store A customer brought us a dented 19th-century Breguet pendant-watch, and wanted me to repair only the case and not the valuable mechanism. In reaction, I decided that someday I would create a watch that would be appreciated not for the case but for the beauty of the movement, until one morning I dreamed of, and immediately designed, the first “space watch,” with an exposed movement that seems to float between two crystals. In 1977 the prototype won the gold medal at the International Exhibition of Inventions in Geneva. From then on, my career was a succession of innovations until I reached the goal of eliminating the spiral, replaced by my Calasys system, which I believe will remain a trace of it in the industry for a long time.

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