Museo del Gioiello di Vicenza, inaugurato con una esposizione rinnovata

Marco Carniello (IEG) «siamo felici di inaugurarlo con un nuovo allestimento, che ha avvicinato questa realtà alle aziende».

Il fascino antico di coralli e cammei di Torre del Greco, lo splendore delle creazioni valenzane, la creatività e la tecnica aretine, l’arte e la tradizione degli orafi vicentini, che da secoli hanno la propria casa proprio in Basilica Palladiana, nel cuore della città.
Dove da venerdì risplende nuovamente il Museo del Gioiello, in una nuova versione tutta nova, completamente dedicata al made in Italy. Sempre nove sale tematiche, nelle quali ammirare 270 pezzi creati dalla preistoria al XXI secolo, che spaziano dall’oro e diamanti delle grandi maison ai materiali alternativi di designer e creatori di gioielli moda, dall’artigianalità del micromosaico alla tecnologia digitale.
Splendido esempio di arte orafa la “scelta del direttore”, selezionata da Alba Cappellieri: la collana “Foglie d’autunno” in oro giallo e bianco, ametiste e citrini firmata nel 1996 da Gianmaria Buccellati, figlio del fondatore della casa milanese, Mario. Un omaggio alla storia, all’artigianalità e all’arte italiane che accoglie i visitatori all’ingresso della mostra, aperta al pubblico da oggi.

L’INAUGURAZIONE


Ieri sera, sotto la Basilica, l’inaugurazione con protagonisti, oltre alla stessa Cappellieri, Marco Carniello, direttore della divisione Jewellery & Fashion di Italian Exhibition Group, il sindaco di Vicenza Francesco Rucco, accompagnato dagli assessori alla cultura, Simona Siotto e da quello alle Attività produttive, Silvio Giovine.

«Molti ci hanno chiesto perché non abbiamo riaperto il museo durante VicenzaOro – sottolinea Carniello – Non l’abbiamo fatto perché la ripartenza dell’appuntamento fieristico, in questo momento, era troppo importante e la preparazione richiedeva tutte le nostre energie. Oggi siamo felici di inaugurarlo con un nuovo allestimento, che ha avvicinato questa realtà alle aziende».
«I nostri obiettivi – continua – sono diffondere la cultura del gioiello e avvicinare a questo settore famiglie e ragazzi, perché una delle priorità è che i giovani talenti entrino nelle imprese. Dei 270 pezzi esposti 130 sono prestati dalle aziende e una metà di questi da espositori di VicenzaOro, che ci hanno sostenuti nella ripartenza fieristica, ma anche in questa occasione».
Il museo, che da novembre 2019 è entrato nella card dei musei civici, sarà ora gestito da VicenzaÈ, il consorzio di promozione turistica, un altro passo per promuoverne la conoscenza.
«Abbiamo fortemente voluto questo museo – sottolinea Rucco – perché rappresenta un’altra ripartenza, dopo il successo di VicenzaOro e ancora una volta abbiamo fatto squadra perché avvenisse. È un punto di riferimento importante e rappresenta la storia della nostra città, conosciuta per l’oro, oltre che per il Palladio».
Museo della città, sì, ma anche dei distretti e dell’intera Italia per Alba Cappellieri. «Un museo che riapre è una gioia, una festa e un successo per il territorio che lo ospita – commenta – Questo è l’unico museo d’Italia dedicato esclusivamente al gioiello, un oggetto che ha un valore estetico, ma è anche un condensato di valori culturali, oltre che una delle prime voci che rappresentano il valore del made in Italy. Per questo ben prima del Covid avevamo deciso di dedicare questa edizione al gioiello italiano, l’unico in grado di sostenere la ricchezza di contenuti presente nelle sale. Questo non è il museo solo di Vicenza, ma dell’Italia».

LE SALE

Mantenuta, appunto, la divisione in nove sale tematiche, a partire dalla “Simbolo”, una summa della creatività e dei distretti orafi, aperta da una selezione di coralli di Torre del Greco, provenienti dalle collezioni private delle aziende torresi: dal XIX secolo arrivano la parure a grappolo di Aucella, spilla, orecchini e ciondolo a croce di Iacobelli e il pendente di Bruno Mazza. Nella selezione valenzana i pendenti in diamanti e pietre preziose di Pasquale Bruni, Damiani, Salvini e Crivelli, le collane di Vendorafa Lombardi e Barberis, la spilla di Moraglione.
Vicenza mostra i suoi pezzi più cari, legati alla devozione, oltre che all’arte orafa: la corona e il pettorale della Madonna di Monte Berico «segno della generosità della comunità, che ha donato i gioielli e dell’arte degli orafi che l’hanno creato», sottolinea Cappellieri. Accanto a loro la corona/ghirlanda del designer tarantino ma vicentino di adozione, Cosimo Vinci, e i bracciali anni Ottanta di Fope e Roberto Coin.
Non può invece che partire dal bracciale anni Cinquanta di Unoaerre la selezione aretina, che comprende anche la collana in maglia americana di Giordini e l’anello Fuochi d’artificio di Artlinea.

“Magia” racchiude invece amuleti e talismani che attraverso i secoli sono stati indossati per catalizzare la benevolenza degli dei o scacciare le energie maligne. Tra questi la fibula in bronzo con nucleo d’ambra e il pendente a cerchio solare del VII secolo a.C. rinvenuti nella necropoli di Novilara (Pesaro Urbino); la collana con perle rosetta veneziane e pendente gris-gris in fibra vegetale e denti di animali, del XX secolo, proveniente dalla Repubblica democratica del Congo; i denti forati di cane/lupo (metà IV millennio a-C.) e di orso (fine III millennio a. C.) trovati negli scavi pugliesi e i monili in corallo della collezione museale di Antonino de Simone.

Ma il gioiello ha anche una “Funzione” pratica, come mostra la sala omonima: bottoni, come quello medievale in ferro del XIV/XV secolo o quelli da parata in ottone di fine Ottocento, realizzati da Giacomo Casati & figli; la pettinessa del XIX secolo in tartaruga, rame dorato e corallo della collezione di De Simone Fratelli; i portasigarette preziosi, uno dei quali appartenuto a Vittorio Emanuele III, fino all’anello spazzolino di Paolo Ulian, del 2005 o al bracciale “portagugit” (porta aghi) di Fabio Cammarata (2014) con tanto di rocchetti.

Mantiene la promessa che ha nel nome la sala “Bellezza”, una vetrina nella quale risplendono i pezzi dei più importanti marchi e designer di gioielleria italiana. Solo per nominarne alcuni, le preziose collane di Bulgari, Pomellato, Chantecler, Roberto Coin e Daniela Vettori; gli anelli di Alessio Boschi, Damiani, Nanis e Giordini; i bracciali di Fope, Crivelli, Giuseppe Fusari, Antonio Palladino e Maria De Toni; gli orecchini di Fratelli Piccini, Sabba, Faraone Mennella e Giovanni Ferraris; le spille di Leo Pizzo, Nardi e Ottaviano, quest’ultimo un complicato e affascinante cammeo del 2020. «Abbiamo scelto questo pezzo perché è un trait d’union tra la tradizione del cammeo napoletano e quella di Torre del Greco – racconta Vincenzo Aucella, presidente di AssocoralSiamo contenti di partecipare a questo lavoro iniziato due anni fa e il nostro distretto ha risposto compatto, con dieci aziende che solo con una telefonata hanno aperto le proprie collezioni private, prestando i loro prezzi per 10 anni, affinché rappresentassero il nostro corallo».

Ma il gioiello non è solo materiali preziosi e storia antica, come testimoniato dalle sale successive.

“Arte”, dove le forme cominciano a farsi meno convenzionali, come nelle collane con pendente di Giò Pomodoro e Aligi Sassu, nel ciondolo di Salvatore Fiume, nell’uccellino appoggiato sulla collana/gabbia di Barbara Paganin, nei cubi girocollo di Giampaolo Babetto o nella collana cilindrica a elementi modulari di Francesco Pavan.

La creatività prende il sopravvento sui materiali nella sala “Moda” dedicata al gioiello non prezioso, dove agli argenti dei vicentini Franco Pianegonda, Misis e Pesavento e all’oro e madreperla di Scanavin si affiancano i bijoux di Sharra Pagano, Ornella Bijoux, Krizia, Lebole, Pucci, Vogue, Missoni e Ugo Correani.

Sono le grandi firme del “Design” e dell’architettura i protagonisti della sala a loro dedicata: i vicentini Cleto Munari e Aldo Cibic, Ettore Sottsass, Alessandro Mondini, Gianfranco Frattini, tra gli altri. Ma anche nomi più strettamente legati al gioiello, come quelli di Carla Riccoboni e Alba Polenghi Lisca.

Nell’ultima stanza, protagonista è il tempo.
Quello che si è fermato per i capolavori raccolti nelle vetrine di “Icone”, come i bracciali in micromosaico realizzati attorno al 1870, i ciondoli art déco o il bracciale di Mario Buccellati, appartenuto a D’Annunzio e le parure ispirate all’Egitto di fine XIX e inizio XX secolo.

Quello, invece, che cercano di anticipare i designer creatori dei pezzi compresi nella sezione “Futuro”: i gioielli polivalenti (anelli o earcuff) di Manuganda, con tanto di passaporto digitale; la collana con celle fotovoltaiche racchiuse in vetri di cristallo di D’Orica; le maschere di Deyse Cottini e Niccolò Umattino; il gioiello da mano di Paola Volpi, fino all’earcuff porta auricolare di Rosalba Balsamo.

Il museo è visitabile dal martedì al venerdì dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 18, sabato e domenica dalle 10 alle 18. La prenotazione non è obbligatoria.
Per l’accesso al Museo del Gioiello sarà necessario esibire il Green Pass.

www.museodelgioiello.it/it/

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