Maria Elena Aprea, charmant ma contraria all’apparenza
Le isole sono terre di attesa dove tutto scorre uguale. Ma non a Capri – una regina, definita da Neruda. Qui, 75 anni fa, è nata una leggenda, Chantecler, normalmente percorsa da un gioioso unconventional che sta dentro il suo tempo e la sua storia. L’eccezionale ricchezza culturale, diversa da ogni altra, ha dilatato i confini di questo brand di nicchia consegnandolo al resto del mondo. Molto è merito di Maria Elena, direttore creativo dell’azienda di famiglia che, con rinnovato senso di appartenenza, si tiene legata a quello stile sofisticato per assicurare al futuro quel certo non so che che, proprio come allora, cattura l’attenzione dell’high society, e materializza i sogni di molti.
Mi accoglie in boutique con un sorriso luminoso. Anche sobria, in aderente maglia blu navy e panta bianchi, è come l’avevo immaginata, charmant, d’altronde l’eccentricità è sua esigenza connaturata, antitetica all’apparire.
È affabile, una qualità che raramente si addice ad una persona a capo di una holding a double digit e, come se avesse intercettato il mio pensiero, fa un gesto ampio della mano e dice: “Questo è il mio mondo, lusso e bellezza, ma l’insegnamento di mio padre mi ha sempre tenuta con i piedi per terra. Sosteneva che la gente ti apprezza per quello che sei e non per quello che mostri”. Intanto che parla, il mio occhio cade sulla lunga collana di corallo moro a cinque fili che tocca, accarezza, ci gioca attorcigliandola al dito per poi lasciarla cadere morbida prima di riprenderla. Si ferma e, seguendo il mio sguardo, aggiunge. “Lo adoro, sento come il bisogno di toccarlo, di tenerlo con me. Non esco mai di casa senza indossare un gioiello di corallo. È sobrio e prezioso insieme perché è vivo”.
Ci raggiunge una sua assistente e posa sul tavolino una couvette, e un’altra e un’altra ancora. Ogni creazione è unica per lavorazione e creatività e capisco perché il jet set di ogni latitudine ne rimanesse attratto.
La storia è di dominio pubblico – online è facile reperire così tanti contenuti sul marchio -, ma il narrare di Maria Elena è appassionato, affabula. Ti trasporta come in un film, solo che questo è tutto vero. Investe nel dettaglio di atmosfere intense che quasi senti il profumo preferito di Jacqueline Kennedy o l’inconfondibile rombo dei Riva Aquarama. Nel mentre, si concede piccole pause affinché quelle descrizioni diventino immagini davanti ai miei occhi. Eh sì, le vedo chiaramente, Ingrid Bergman, la principessa Soraya…, “…Audrey Hepburn con ballerine e pantaloni a sigaretta. Erano gli habitué di questa boutique. Venivano non come clienti piuttosto come amici calamitati dall’animatore della movida di allora, Pietro Capuano, avvenente ed istrionico, e da mio padre Salvatore Aprea, raffinato e gentile. Un orafo davvero talentuoso. Sono loro che hanno dato inizio a questa bellissima realtà”.
Due facce della stessa medaglia che negli anni hanno intessuto narrazioni straordinarie in perfetta atmosfera dolce vita, che tanta parte ha avuto nella definizione della sua potente unicità.
Sei cresciuta tra le star (sorride), ma c’è una persona che avresti voluto conoscere e che ancora non hai avuto l’opportunità di incontrare?
“Una persona di grande cultura, magari non famosa ma geniale, di quelle che incantano spiegando alla gente comune cose difficili con parole semplici”. Complesse come il metaverso? “No, per ora non mi interessa, credo troppo nella forza della materia”.
L’idea che rifiuti?
“La volgarità”.
E una cosa che può non essere mai abbastanza?
“La ricerca per le cose belle”.
Quindi è da tuo padre Salvatore che ti viene questa passione?
“Indubbiamente. Mi ha insegnato che ogni cliente merita qualcosa di diverso e di ben fatto”.
Anche ora che il turismo di superficie sta in qualche modo soffocando l’esprit caprese?
“Il tempo passa e se non puoi fermarlo puoi almeno adeguarti ai suoi cambiamenti facendo bene quello che sai fare. Devi andare sempre nella direzione giusta, mai adagiarti. In veste di anima creativa e stilistica del brand, coltivo l’amore per l’arte perché ritengo che sia più urgente tenere alta l’identità del marchio che immaginare prodotti nuovi per una clientela di passaggio. Ma siccome non amo le discriminazioni, penso che le cose belle debbano essere accessibili a tutti, e allora disegno miniature, come le campanelle per esempio, con lo stesso amore che riservo ai pezzi unici. Nessuno deve essere carente di dettagli. Qualsiasi turista deve poter portare con sé un ricordo indelebile, un simbolo della mia isola”.
Collana, bracciale, spilla…, quale gioiello preferisci?
“Gli orecchini, accompagnano il viso meglio del make up”. Poi per contro infila un grande anello très chic che mi ricorda la fluidità dei tentacoli di un’attinia, e aggiunge “Forse no, forse è più giusto dire che mi piacciono tutti”. Lo muove sotto la luce come se ne scoprisse per la prima volta la complessa fattura e capisco che Chantecler è l’eleganza possibile, mai ostentativa, anche quando i volumi sono big, i colori intensi e i carati da capogiro. Un’eleganza lontana dai luoghi comuni, proprio come lei, donna dalla connaturata intelligenza emotiva che anche su suolo meneghino, dove vive (a Milano il brand ha il suo head quarter), nella sua idea imprenditoriale tiene in primo piano il rapporto umano e la propensione al dialogo.
Dalla sala accanto entra un ragazzo dalla faccia pulita, simpatica.
“Ti presento Leo, mio figlio”. Che tradotto significa la sua passione, il suo amore, la sua vita. “Spero che insieme ai cugini dia continuità alla nostra realtà. Per ora in autunno ha in agenda un master post-laurea a Stoccolma. Poi si vedrà”. Leonardo riferisce alla mamma che sta per raggiungere gli amici, lo fa lasciando trasparire la voglia di godersi la vita propria dei suoi anni (23) e va via con il suo aplomb di ragazzo perbene.
Durante la nostra lunga chiacchierata, in boutique si sono avvicendati amici/clienti internazionali, e ad ognuno ha dedicato un saluto sincero (ora in inglese, ora in francese…, caprese doc ma dall’animo cosmopolita), e a qualcuno ha promesso di raggiungerlo in piazzetta per un ape – sull’isola delle lucertole blu una fashionable occasione d’incontro.
Mi coinvolge. Ci incamminiamo lungo via Vittorio Emanuele. Si distingue dagli altri anche per il suo incedere.
Ad un tavolino l’attendono due amiche di vecchia data, una compie gli anni e immancabile arriva la bottiglia di bollicine. Si brinda come se ci conoscessimo da sempre. Domina la scena con innata naturalezza, confermandomi che ad un business breakfast nella caotica capitale della moda, in viaggio per il globo ad intercettare le pietre più spettacolari, così come davanti ad un flute di spumante, rimane la donna dolce e forte che è, quella che non rinuncerebbe mai ai piaceri della vita, che si divide tra gemme ed altre bellezze.
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