Ciro Paolillo svela l’enigma della corona di Carlo III di Borbone

Si è tenuto venerdì scorso all’Archivio di Stato di Napoli un interessante convegno sulla scomparsa corona di Carlo III di Borbone, a seguito della ricostruzione della stessa per entusiasmo e volontà di Ciro Paolillo, docente alla Sapienza che ha racchiuso in un prestigioso volume – in collaborazione con la giornalista AnnaMaria Barbato Ricci  – tutta la sua ricerca, partita da fonti di archivio ed in particolar modo da un disegno custodito nel Fondo Borbonico del monumentale Archivio napoletano,. Non solo, in aiuto alla realizzazione, è arrivata l’attenta analisi dei ritratti dipinti dei reali hanno fornito non pochi particolari utili alla sua riproduzione.

La corona riprodotta, in esposizione all'archivio di Stato di Napoli
La corona riprodotta, in esposizione all’archivio di Stato di Napoli

Quel simbolo del potere è stato riproposto pedissequamente, dall’intelaiatura all’incastonatura delle pietre (oltre 200, cubic zirconia facsimile dei diamanti) al cui centro protagonista era il grande “diamante viola Farnese” di 42 carati (sostituito qui da un’ametista), mistero nel mistero della sparizione della corona. Come spiega Paolillo durante l’incontro.

Il valore del progetto è stato sposato con entusiasmo dalla direttrice dell’Archivio Candida Carrino che ha accolto gli ospiti nella maestosa Sala Filangieri.

Candida Carrino, direttrice dell’Archivio Storico di Napoli con i relatori

Ma alla fine dove è finita la corona?

Gli avvenimenti storici di nuovo arrivano in soccorso e di mezzo c’è la fuga nel 1798 di Ferdinando IV per Palermo che avvenne a bordo della flotta dell’ammiraglio inglese Horatio Nelson; durante la perigliosa traversata funestata da tempeste, pare che una delle navi fosse affondata con a bordo il tesoro reale. Ma di questo evento non v’è traccia documentata…

e quindi ritornando alla nostra corona Paolillo ipotizza la sua tesi: «potrebbe essere stata usata per finanziare il cardinal Ruffo a sostegno della rivolta contro i francesi, o altrimenti, potrebbe essere stata smontata delle pietre che furono donate proprio a Nelson che trasse in salvo la famiglia reale e, la cui prova, potrebbe essere individuata in un documento del 1801 dove lo stesso ammiraglio dichiara di aver venduto, per appianare dei debiti, “tremila sterline di diamanti” … una cifra considerevole per l’epoca!! Infine, volendo percorrere anche un sentiero più romantico – continua il professore – mentre i diamanti furono consegnati a Nelson la gemma più preziosa, il “viola farnese” probabilmente, fu regalato alla sua moglie morganatica Lucia Migliaccio…».

Quel diamante simbolo della genia reale di cui si sono perse le tracce, come ironicamente ha ricordato AnnaMaria Barbato Ricci, potrebbe essere oggi racchiuso ignaramente in un beautycase conservando tutto il fascino di quel colore di cui si narra e che potrebbe farlo apparire “semplicemente” come una gemma di colore.

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