Mikimoto: “La Perla è sostenibile”

La Japan Pearl Exporters’ Association (JPEA) di Kobe dal 1954 tutela e valorizza l’attività di oltre 135 imprese

Se la nascita delle perle coltivate la si deve a Kokichi Mikimoto, la loro tutela, valorizzazione ed esportazione oggi è merito della Japan Pearl Exporters’ Association (JPEA), fondata nel 1954 a Kōbe con l’approvazione del Ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria giapponese e che vanta ben 135 associati, in prevalenza piccole e medie imprese. “La nostra missione è quella di esaltare la bellezza naturale delle perle attraverso una fusione armoniosa tra la forza della natura e l’abilità umana – sono le parole di George Kakuda, attuale Presidente di JPEA, che poi sottolinea – La crescita delle esportazioni su scala globale, conseguenza dell’amore delle persone per questa gemma senza tempo, dell’uso consapevole delle risorse naturali e dell’evoluzione dei processi produttivi, pur rispettando la storia e le tradizioni sono in perfetto stile nipponico”.

Nonostante le perle siano considerate il gioiello più antico del pianeta, le notizie su come la natura le abbia donate – con parsimonia – per secoli sono circolate con difficoltà, almeno fino alle prime sperimentazioni di Mikimoto, risalenti al 1893 e che, dopo alcuni anni passati a perfezionare la tecnica nelle acque dell’isola di Toba, nel 1907 diedero vita all’era della perla coltivata, collocando il Giappone al primo posto tra i produttori mondiali.

«La nostra missione è quella di esaltare la bellezza naturale delle perle attraverso una fusione armoniosa tra la forza della natura e l’abilità umana»

George Kakuda
Presidente di JPEA

“Tutto ciò ha avuto un impatto notevole sul commercio, poiché – prosegue il Presidente Kakuda – mentre nell’antichità erano simbolo di ricchezza e potere, l’avvio della coltivazione ha reso le gemme del mare accessibili a tutti. Questa è una differenza fondamentale tra le perle e gli altri gioielli e anche la ragione per la quale meritano il titolo di gioielli sostenibili”. La perla giapponese più apprezzata è sicuramente quella Akoya, di dimensioni che variano dai 3 ai 9 millimetri e la cui qualità e lucentezza la collocano al primo posto tra quelle coltivate.

La coltura è un processo delicato e non basta che nell’ostrica penetri un corpo estraneo per ottenere dal mollusco una perla, ma è necessario, dopo aver atteso circa tre anni di vita, che il nucleo di madreperla, inserito con abilità dal coltivatore, trascini con sé del tessuto epiteliale dal mantello affinché l’ostrica lo ricopra con sottili strati successivi. I perlai giapponesi hanno nel tempo selezionato le ostriche perlifere dalle maggiori capacità produttive, la tecnica è progredita e i controlli sulla qualità del pescato sono affidati a mani esperte. Ciononostante, il processo è ancora fortemente condizionato dai fattori ambientali. È importante perciò che l’acqua abbia una temperatura elevata, con salinità costante e sia ricca di sostanze nutritive trasportate dalle correnti marine. È complesso valutare la qualità delle perle, mancando, a differenza dei diamanti, criteri universalmente stabiliti, che rendono per questo il settore estremamente affascinante, poiché non ci saranno mai due perle uguali. Solitamente si valutano sei fattori, conclude George Kakuda. Il primo è la consistenza dello strato generato dall’ostrica attorno al nucleo, formato da cristalli di carbonato di calcio e proteine. Questo strato è strettamente collegato al colore e alla loro lucentezza.

Le perle Akoya hanno cristalli sottili e delicati, spessi da 0,3 a 0,8 micron. La brillantezza, creata dalla luce riflessa all’interno della perla stessa. Le imperfezioni, ad esempio, sono considerate caratteristiche aggiuntive e, a certe condizioni, ne accrescono persino il valore. Il colore è soggettivo, quindi non ci sono tonalità migliori di altre. Esso è dato dal pigmento rilasciato dall’ostrica oppure può essere modificato durante la lavorazione. La forma perfettamente sferica è estremamente rara, ma poiché negli ultimi anni le richieste di perle a goccia o barocche sono aumentate, come per il colore, non ci sono forme considerate pregiate rispetto ad altre. Analogo discorso vale per le dimensioni, che adesso rappresentano solo un fattore di preferenza personale.
 
«La nostra missione è quella di esaltare la bellezza naturale delle perle attraverso una fusione armoniosa tra la forza della natura e l’abilità umana»


Kokichi Mikimoto: “Pearl is not only beautiful it is sustainable”

The Japan Pearl Exporters’ Association (JPEA) in Kobe has been protecting and enhancing the activities of more than 135 enterprises since 1954

If the birth of cultured pearls is due to Kokichi Mikimoto, their protection, enhancement and export today is thanks to the Japan Pearl Exporters’ Association (JPEA), founded in 1954 in Kōbe with the approval of the Japanese Minister of Economy, Trade and Industry and boasting as many as 135 members, mostly small and medium-sized enterprises. “Our mission is to enhance the natural beauty of pearls through a harmonious fusion of the power of nature and human skill,” are the words of George Kakuda, current president of JPEA, who then emphasizes, ”The growth of exports on a global scale, a consequence of people’s love for this timeless gemstone, the conscious use of natural resources and the evolution of production processes, while respecting history and traditions are in perfect Japanese style. Although pearls are considered the oldest jewel on the planet, reports of how nature has bestowed them – sparingly – for centuries have circulated with difficulty, at least until Mikimoto’s first experiments, dating back to 1893 and which, after a few years spent perfecting the technique in the waters of Toba Island, in 1907 gave birth to the cultured pearl era, placing Japan as the world’s leading producer. “This has had a major impact on trade, because,” President Kakuda continues, ”while in ancient times they were a symbol of wealth and power, the start of cultivation made sea gems accessible to all. This is a fundamental difference between pearls and other jewelry and also the reason why they deserve the title of sustainable jewelry.” The most prized Japanese pearl is definitely the Akoya pearl, which ranges in size from 3 to 9 millimeters and whose quality and luster place it first among cultured pearls. Cultivation is a delicate process, and it is not enough for a foreign body to penetrate into the oyster to obtain a pearl from the mollusk, but it is necessary, after waiting about three years of life, for the mother-of-pearl nucleus, inserted with skill by the cultivator, to drag with it some epithelial tissue from the mantle so that the oyster covers it with successive thin layers. Japanese pearl farmers have over time selected the pearl oysters with the highest production capabilities, the technique has advanced, and quality control of the catch is entrusted to experienced hands. Nevertheless, the process is still heavily influenced by environmental factors. Therefore, it is important that the water has a high temperature, with constant salinity and is rich in nutrients carried by sea currents. It is complex to assess the quality of pearls, lacking, unlike diamonds, universally established criteria, which is why the field is extremely fascinating, since no two pearls will ever be the same. Usually six factors are evaluated, George Kakuda concludes.

The first is the texture of the layer generated by the oyster around the core, which consists of calcium carbonate crystals and proteins. This layer is closely related to their color and luster. Akoya pearls have thin, delicate crystals, 0.3 to 0.8 microns thick. The luster, created by light reflected within the pearl itself. Imperfections, for example, are considered additional characteristics and, under certain conditions, even increase the value. Color is subjective, so there are no shades better than others. It is given by the pigment released by the oyster or can be modified during processing. The perfectly spherical shape is extremely rare, but as requests for teardrop or baroque pearls have increased in recent years, as with color, there are no shapes considered more valuable than others. Similar applies to size, which is now only a factor of personal preference.

“Our mission is to enhance the natural beauty of pearls through a harmonious fusion of the power of nature and human skill.”

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