Intesa Sanpaolo prime anticipazioni sul 2023
Ottima tenuta e dinamica positiva delle esportazioni: Il sistema orafo italiano, conferma i dati. Dubbi per il 2024 legati principalmente alla situazione mondiale geopolitica.
Proprio in questi giorni, stiamo procedendo con un aggiornamento dell’analisi congiunturale che elaboriamo con il Club degli Orafi per integrare le analisi quantitative con le conoscenze degli operatori del settore raccolte attraverso un’indagine dedicata che è in corso in queste settimane. Le statistiche ufficiali in termini di fatturato ed esportazioni sono aggiornate al periodo gennaio-agosto 2023, ma rappresentano una prima anticipazione sul 2023 e documentano un fatturato dell’oreficeria (compresa bigiotteria) in crescita del 10%, a fronte di un sistema moda che cresce del 6% e del manifatturiero sostanzialmente stabile (0,4%). Ottima tenuta e dinamica positiva delle esportazioni, pure in maniera sorprendente. Il PIL mondiale è in rallentamento e la domanda di gioielleria in oro è stabile: le esportazioni italiane sono cresciute del 12,5% in valore e del 22% in quantità (se riferito solo alla componente di gioielli, la crescita in quantità è del 5%).
Positivo anche il fatturato nel mercato interno con una crescita del 7%. La buona tenuta del settore orafo in questa prima parte dell’anno è legata soprattutto alle ottime performance delle esportazioni realizzate dal made in Italy. L’offerta italiana si è messa al riparo da problemi competitivi provenienti dai Paesi emergenti e lo ha fatto spostandosi man mano verso una fascia qualitativa di prodotto sempre più alta. Tra i mercati di riferimento si sottolinea il buon andamento verso gli Stati Uniti, dove le esportazioni crescono del 6,7%. Nella lettura dei paesi di destinazione, ci sono effetti legati anche alle politiche distributive della Maison del lusso, che utilizzano hub logistici per le vendite internazionali. Pensiamo alla Svizzera, primo mercato di sbocco, dove le esportazioni crescono del 38%. Crescita del 20% in Irlanda, che negli ultimi anni ha rafforzato il ruolo di hub logistico per il gioiello made in Italy.
Lo stato di salute del gioiello è dunque buono per la prima parte del 2023, ma qualche preoccupazione comincia ad esserci, indotta da uno scenario internazionale che è diventato più complesso. Il posizionamento raggiunto sul lusso e su prodotti di alta gamma potrebbe però mettere al riparo il mercato italiano da problemi di una domanda meno tonica. Una fase di rallentamento potrebbe senza dubbio esserci e sarebbe anche fisiologica, in ragione dei primi otto mesi 2023 molto positivi confermati da un livello di esportazioni che ha raggiunto i 7,4 miliardi. I distretti sono un’altra forte caratterizzazione del settore orafo e ci permettono di spiegare il grande valore delle esportazioni made in Italy. Il nostro osservatorio monitora tre distretti: Vicenza, Arezzo e Valenza Po che rappresentano circa il 70% dell’export italiano e che nel primo semestre (ultimo dato disponibile a livello territoriale) hanno aumentato le esportazioni del 6,4%» – commentano Stefania Trenti, responsabile industry research Intesa Sanpaolo e Sara Giusti, economista Intesa Sanpaolo.
I primi otto mesi del 2023 sono anche il metro di valutazione di Confindustria Federorafi, pronta alle prossime sfide del 2024.
«Il periodo gennaio-agosto 2023 ha confermato le previsioni di inizio anno – spiega Claudia Piaserico, presidente – Abbiamo, infatti, rilevato una crescita del +12,8% rispetto allo stesso periodo del 2022. Gli ultimi mesi dell’anno, però, hanno fatto registrare un rallentamento da maggio in poi, quindi un trend in calo. I motivi? La crisi medio-orientale non aiuta: provoca un rincaro dei tassi di interesse, genera il problema dell’approvvigionamento delle materie prime. Temo che sia una crisi ancora più incisiva del conflitto russo-ucraino. Inoltre il gioiello ha avuto in epoca Covid e post Covid il suo momento di massimo splendore: il consumatore distoglieva il proprio budget da vestiario e viaggi e il gioiello era stato riconsiderato un bene rifugio in grado di conservare il proprio valore.
Lo abbiamo constatato con l’impennata dei nostri fatturati nel 2021-2022. Adesso la cautela, che appartiene alla nostra quotidianità, spinge i consumatori a rallentare questi acquisti, in ragione anche della percezione che le famiglie hanno dei conflitti internazionali e di quanto possano impattare sull’economia. In ogni caso, il nostro trend attuale rispetto al periodo pre Covid resta nettamente positivo: +57%. C’è molta attenzione rispetto al 2024, perché è nella prossima annualità che ci confronteremo e misureremo e dovremo essere in grado di reagire e tendere sempre la mano ai processi di innovazione».
Ai dati di Confindustria Federorafi fa riferimento anche il distretto orafo campano. Ecco l’analisi di Vincenzo Giannotti, presidente Centro Orafo il Tarì, vicepresidente Confindustria Caserta con delega alla competitività territoriale: «I dati elaborati per Confindustria Federorafi dal Centro Studi di Confindustria Moda relativi al primo trimestre 2023 delineano un quadro soddisfacente per il settore dell’oreficeria, dell’argenteria, della gioielleria e del cammeo e corallo made in Italy.
Il fatturato nazionale è cresciuto del +11,3%, rispetto allo stesso periodo del 2022, trainato dall’export con un +16,7%.
Purtroppo questo trend positivo ha subito a livello nazionale nei mesi scorsi un rallentamento, dovuto a tanti fattori contingenti, compresi i gravissimi conflitti in corso. Tuttavia la nostra recente fiera di ottobre e le aspettative del mercato interno rispetto al Natale sono positivi: ci aspettiamo un buon riscontro di vendite nel settore, nei prossimi mesi. È importante che la maturità del consumatore anche in ambito di sostenibilità venga premiata da aziende altrettanto mature e preparate, in grado di informare in modo chiaro ed esaustivo il mercato e di applicare nelle loro organizzazioni criteri di etica e di rispetto dell’ambiente oggettivi e trasparenti. Esiste un vero patto di trasparenza e lealtà tra produttori e consumatori, che non può essere tradito».
In che modo si resta competitivi e quali sono i maggiori pericoli per la crescita?
«C’è un tema molto importante che ci segnalano gli operatori e che sta assumendo una rilevanza crescente per sostenere la crescita e la competitività del comparto ed è quello del reperimento della manodopera – spiegano le dottoresse Stefania Trenti e Sara Giusti di Intesa Sanpaolo -. Le aziende ci segnalano che hanno paura di non riuscire a replicare produzione e fatturato, perché hanno difficoltà di ricambio generazionale. In particolare, in produzioni che si collocano in una gamma produttiva molto alta, il know how e la qualità dei maestri artigiani fanno la differenza. Ci sono mestieri che richiedono competenze e abilità che non è facile trovare sul mercato e che per essere trasferite necessitano di affiancamento e formazione anche con periodi lunghi». Ancora Piaserico: «Sappiamo che la formazione non sia un argomento “passeggero”.
Sappiamo che il futuro dipenderà dalla capacità di formare i nostri ragazzi e da quanto faremo attenzione al ricambio generazionale. Non è formazione per la formazione, non è fine a se stessa: se non la facessimo, perderemmo le tradizioni e il materiale umano, dunque danneggeremmo il made in Italy. Abbiamo lavorato molto bene con Skuola.net e il progetto continua nel 2024. Stiamo già attivando una iniziativa in continuità con l’anno scorso e che sarà presentata durante Vicenzaoro. Coinvolgerà oltre 300 studenti e ci permetterà di raccontare che cosa accade nelle aziende. Non lo farà l’imprenditore ma l’incastonatore, il designer, il responsabile web marketing, affinché siano i giovani a raccontare le proprie esperienze agli altri giovani. Con Umana, Agenzia per il lavoro, stiamo arrivando ad un accordo per un’attività di matching tra domanda e offerta: i ragazzi fanno arrivare i propri curricula e le aziende fanno arrivare le proprie offerte. Poi Umana si occupa di metterle in correlazione».
A proposito di formazione e reperimento della manodopera, ecco il commento di Paolo Cesari, presidente Assogemme: «Ci sono diverse iniziative di formazione nel nostro settore, in atto soprattutto in Italia. La nostra associazione collabora ad un progetto di sensibilizzazione con Mani Intelligenti, che sta svolgendo un grande lavoro di penetrazione nel territorio valenzano. Per il taglio delle gemme, però, c’è ancora molto da fare, perché devono essere ancora costruite iniziative istituzionali ad hoc.
Va considerato, però, che si tratti di una competenza specifica nel settore del gioiello e quindi necessita di tempo e pazienza per essere assorbita e definitivamente acquisita. Per avere un quadro di piena operatività da parte di un tagliatore, occorrono almeno 10 anni. Quando parliamo di questo range temporale, ci riferiamo ad altissime eccellenze. C’è, dunque, necessità che i ragazzi pronti ad avvicinarsi a questo mestiere abbiano non solo grande manualità ma anche predisposizione creativa, perché parliamo di pietre di colore, di una gamma molto ampia di colore. Basti pensare a quello che avviene a Torre del Greco con il cammeo e la conchiglia e parliamo di macro materiali. La stessa attenzione occorre per tutte le categorie merceologiche. Le taglierie italiane sono in difficoltà nella misura in cui è difficile trovare manodopera, che viene tutta creata e sviluppata in sede. Le taglierie sono in grado di assorbire eccellenza esecutiva, perché la qualità è molto alta e richiede tolleranze molto precise, oltre alla grande attenzione alla qualità dei prodotti utilizzati. Il mercato delle gemme è in flessione o sviluppo? Dipende dal target. L’alto di gamma è in crescita sia per quanto riguarda i pezzi unici sia per le grandi produzioni. Tutti i marchi molto solidi vivono un processo di crescita e quindi assorbono grandi quantitativi di prodotto. Lo scenario è molto diverso per i marchi più commerciali: vivono una continua flessione e contrazione del mercato».
Vincenzo Aucella, presidente di Assocoral, offre lo spaccato del proprio comparto, «che ha subito una forte contrazione generata dalla pandemia, perché la pandemia – dice – ha scavato il solco tra chi utilizzava un metodo classico di promozione, basato sulle fiere di settore come core business, e chi invece da tempo aveva intrapreso altre strade, fatte di multi-brand. Aveva già capito, infatti, che lavorare su distribuzione e marketing avrebbe potuto dare maggiore respiro in previsione delle sopraggiunte difficoltà. Fino a 30, 40 anni fa, tutte le aziende facevano le stesse cose. Oggi ce ne sono 80 rappresentate dalla nostra associazione e ciascuna ha compreso di dover creare la propria nicchia di mercato.
Nel 2022 già c’è stato un rafforzamento delle aziende che hanno lavorato su più brand, direi quasi un’esplosione del proprio mercato. Nel 2023, soprattutto nel secondo semestre, riscontriamo una flessione che però consideriamo lieve e fisiologica. La ripresa dei viaggi ha spinto gli italiani ad investire su beni diversi e di sicuro a contrarre l’acquisto dei beni che non sono di prima necessità, cioè quelli del nostro settore. Nel nostro comparto, le aziende che aveva scelto un metodo classico di promozione, che avevano investito su un solo brand e che attendevano le fiere di settore, si imbattono in un mercato ancora impaludato, se teniamo conto che ad Hong Kong, ad esempio, l’attività fieristica è ripresa da appena un anno. Un altro dato significativo che impatta sul nostro mercato è l’aumento dei tassi di interesse.
Chi ha un mutuo da pagare o sta acquistando qualcosa a rate, si ritrova con il proprio capitale eroso e quindi ha meno possibilità di dirigersi verso il nostro settore».
Il ricambio generazionale resta un tema forte, attuale, sul quale riflette anche il presidente di Assocoral: «Per quanto riguarda i lavoratori, noi non siamo mai andati in affanno. Oggi sento dire “c’è bisogno” ma noi lo abbiamo sempre fatto, perché negli anni abbiamo alimentato un dialogo costante tra aziende e scuola. In una cittadina come Torre del Greco, ad esempio, c’è stata sempre una forte connessione tra l’Istituto Degni e le aziende. La scuola ha sempre garantito il fabbisogno giusto e tarato sull’esigenza del mercato del lavoro. Quello che più mi preoccupa rispetto al ricambio generazionale è, invece, la voglia dei ragazzi di fare qualcosa di diverso e che ritengono anche migliore rispetto al mestiere di incisore. Il nostro lavoro è senza orari, di grande sacrificio, ad agosto non c’è vacanza. Il nostro ragionamento, dunque, non si concentra sull’attuale manodopera che è largamente sufficiente, ma sulla necessità di far capire alle famiglie che oggi bisogna far innamorare i propri figli del nostro lavoro».
Una delle caratteristiche italiane è la parcellizzazione dei punti vendita. Le gioiellerie sono ancora “attuali”?
«C’è stata senza dubbio una selezione delle gioiellerie nel corso degli anni. Alcune hanno segnato il passo, altre si sono rafforzate e sono riuscite ad ampliarsi. Il settore è in continuo fermento e movimento, ma resta un dato di fatto: la gioielleria è la base, è non solo presidio ma anche servizio per il territorio – spiegano Stefania Trenti, responsabile industry research Intesa Sanpaolo, e con Sara Giusti, economista Intesa Sanpaolo -. Non è solo un luogo di vendita ma anche di supporto e assistenza alla clientela, spesso fidelizzata e storica, che acquista ma poi ripassa in gioielleria per una modifica, una sostituzione.
Questa è soprattutto la storia dei piccoli centri e quindi il frazionamento delle gioiellerie è anche la fotografia dell’articolazione del nostro Paese. Nei grandi centri e nelle località turistiche, invece, la gioielleria ha una spinta considerevole, che deriva dai flussi turistici e della clientela internazionale più alto spendente. Nelle grandi città le gioiellerie sono a propria volta elemento di attrazione e tappa irrinunciabile per chi va a far visita proprio a quel punto vendita, perché gli riconosce valore aggiunto, qualità ed esclusività. Per un bene che ha un valore unitario così alto per il quale il rapporto di fiducia è tanto importante, la sfida dell’on line è meno forte e sentita rispetto ad altri settori della moda. In Cina il mercato on line ha avuto uno sviluppo più dinamico ma questa non è la fotografia del contesto italiano, che ha altre peculiarità».
Quale deve essere e come è cambiato, dunque, il ruolo del gioielliere? «È punto di riferimento non solo per la vendita ma anche per un servizio di confronto – spiega Stefano Andreis, presidente Federpreziosi – Oggi ci troviamo di fronte ad un cliente molto preparato, perché riceve stimoli frequenti e anche molto aggressivi dall’on line. Il gioielliere diventa presidio e servizio quando è preparato, se si documenta e rivoluziona il vecchio schema mentale di 20 anni fa, quando attendeva sulla poltrona del proprio negozio, “perché tanto qualcuno entra sempre a farmi visita”. I gioiellieri lo hanno capito e hanno acquistato competenze. Ci chiedono, ad esempio, consulenza per l’apertura di una cassetta di sicurezza.
Bisogna essere professionali, formati, innovativi: se abbiamo davanti a noi diamanti sintetici e naturali, perle di fiume e di acqua salata, dobbiamo conoscere le differenze e sapere di cosa parliamo. Siamo competitivi perché possiamo assecondare una richiesta del cliente. Per farlo, usciamo dalle gioiellerie e formiamoci partecipando ai corsi nei poli fieristici. Solo la professionalità del gioielliere, se il cliente gli chiede un anello per la moglie che lui non ha in negozio, gli permette di soddisfare comunque l’esigenza e il gusto della persona che ha di fronte, facendola uscire dalla gioielleria magari con qualcosa di diverso, ad esempio un pendente. I turisti che rientrano nel proprio paese con la borsetta firmata dal brand di una gioielleria sono orgogliosi di aver acquistato da noi e quel passaparola è speciale, perché diventa megafono per apprezzare il made in Italy all’estero. Non è solo fondamentale ma essenziale la cura dell’immagine: le nostre vetrine devono essere bellissime, attrattive, aggressive».
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