Il trend dell’orologeria d’alta gamma

Il Covid rallenta il mercato globale, i soliti modelli noti si confermano inossidabili beni rifugio mentre il resto della produzione resta nelle vetrine a prendere la polvere

Michele Mengoli .

Michele Mengoli
Ha scritto romanzi e saggi e ha collaborato con una decina di testate nazionali, tra cui “Il Sole 24 Ore”, “QN” e “Linkiesta”. È co-fondatore della casa di produzioni video Black Sheep Strategy. E la passione per l’orologeria lo ha portato a dirigere i magazine più importanti del settore e a ricoprire il ruolo di advisor del progetto Vo Vintage per Vicenzaoro. Attualmente è Editor-In-Chief di “Watch Insanity”.

Luci e ombre per il mercato dell’orologiera d’alta gamma tra anno appena trascorso e immediato futuro che continua anche a scontare gli effetti del Covid-19. Difatti i dati sull’export dell’industria dell’orologeria svizzera – cifra che comprende orologi di ogni fascia di prezzo, per capirci da Swatch a Patek Philippe – dicono che il 2020 ha registrato un complessivo -23,5%, sviluppando un valore totale di 15,2 miliardi di franchi svizzeri (fonte: Fédération de l’industrie horlogère suisse). Con i vari mercati del mondo che hanno reagito in modo diverso alla pandemia e al relativo contesto economico globale. Nello specifico, i tre mercati di riferimento – Cina (che vale 2,08 miliardi di franchi svizzeri), USA (1,79) e Hong Kong (1,52) – segnano rispettivamente +17,1%, -18,9% e -38,5%, mentre l’Italia, che movimentando 584,7 milioni di franchi svizzeri (un paio di anni fa superava il miliardo!) mantiene comunque il decimo posto come rilevanza di mercato, cedendo però il 35,3%.

A prescindere dai numeri, le luci e le ombre del segmento d’alta gamma sono inquadrabili soprattutto nel settore del commercio contemporaneo – in pratica gli orologi nuovi – perché ormai è sempre più consolidato uno spartiacque invalicabile: da una parte ci sono una ventina di modelli iconici di una manciata di marche, capitanate dalla solita Rolex, che si “stravendono” attraverso le fantomatiche e interminabili liste d’attesa nei concessionari ufficiali con il mercato parallelo che rivende gli stessi modelli ha prezzi “dopatissimi” e dall’altra parte c’è il resto della produzione d’alta gamma – parliamo di decine e decine di marche anche storiche e anche appartenenti ai grandi conglomerati del lusso – che prendono la polvere nelle vetrine. I motivi sono molteplici. Il successo degli uni è frutto di una impeccabile coerenza storica sul prodotto e di una strategia distributiva attentissima a non alterare gli equilibri tra domanda e offerta. L’insuccesso degli altri è invece causato da scelte manageriali più attente alle leve finanziarie che a quelle di prodotto e di identità di marca.  

Durante l’ultima asta newyorkese dello scorso 12 dicembre della plurisecolare Phillips, il leggendario Rolex Daytona Ref. 6263 “Big Red” è stato battuto per 4,5 milioni di euro

Rolex Daytona Ref. 6263 “Big Red” appartenuto a Paul Newman

Al contrario, splende il sole nel mondo dell’orologeria vintage, con quotazioni sempre in rialzoanche in questo caso, storicamente, il panorama del successo è circoscritto a una decina di marche per qualche decina di relativi modelli – e con le grandi aste internazionali che stanno vivendo una stagione di grandi exploit, come l’ultima asta newyorkese dello scorso 12 dicembre della plurisecolare Phillips, che ha aggiudicato 135 orologi – ovvero il 99% dei lotti – per un guadagno complessivo di quasi 23 milioni di euro e con l’assegnazione del leggendario Rolex Daytona Ref. 6263 “Big Red” appartenuto a Paul Newman e venduto a 4,5 milioni di euro (nella foto © Phillips). E con il battitore che è sempre lo stesso: il leggendario Aurel Bacs (svizzero, classe 1971, dagli anni Novanta prima in Sotheby’s, poi in Christie’s e, dal 2014, in Phillips), alla regia di altre aste epocali: New York 2017, 17,7 milioni di dollari per il Daytona 6239 con quadrante Paul Newman di proprietà di Paul Newman; Ginevra 2016, 11 milioni di franchi svizzeri per uno dei quattro Patek 1518 esistenti in acciaio; Ginevra 2018, 5 milioni di euro per il Daytona 6265 in oro bianco soprannominato “The Unicorn”; e New York 2019, 1,95 milioni di dollari per il Gmt-Master 1675 che Marlon Brando indossava in “Apocalypse Now”.

Il battitore Aurel Bacs

In conclusione, se il trend per l’immediato futuro è scontato, con i soliti modelli (Daytona, Submariner, GMT, Nautilus, Royal Oak e pochi altri), sia nuovi sia soprattutto fuori produzione, che rappresentano dei veri e propri beni rifugio, c’è da capire cosa faranno i manager dei marchi che prendono la polvere nelle vetrine per modificare uno stato di fatto che alla lunga non è sostenibile. Chi vivrà (Covid permettendo), vedrà!

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