Enrico Tessitore, una storia d’oro e di passione che guarda con fiducia al futuro

Cinque generazioni di orafi, una storia che inizia nell’Ottocento ed una moltitudine di aneddoti che trova la sua più alta espressione in quella della iconica Campanella di Capri, un’idea di Enrico Tessitore degli anni Venti, così come ci racconta suo nipote Enrico, suo omonimo, oggi alla guida dell’azienda.

Enrico Tessitore

Da Napoli a Capri passando per gli States. La campana portafortuna di Capri, il presidente Roosevelt, i gioielli in tubogas: la storia della famiglia Tessitore, artigiani orafi partenopei, è ricca di aneddoti. Tutto inizia all’ombra del Vesuvio, a Napoli nei Quartieri Spagnoli, nel lontano 1888. Oggi il laboratorio Tessitore ha sede nel quartiere Chiaia, in via Cavallerizza, (ma sono presenti anche al Tarì di Marcianise) ed Enrico Tessitore insieme ai figli rappresentano la quinta generazione di orafi gioiellieri.

La campanella di Capri

La storia della sua famiglia ha origini molto antiche.

“La documentazione in nostro possesso ci permette di dire che i Tessitore nascono come gioiellieri nel 1888 anche se, con molta probabilità, questa data andrebbe retrocessa. Si racconta che il padre di mio nonno poi si trasferì in Spagna, a Barcellona per amore, ma questa è un’altra storia. Intorno al 1940 avevamo una fabbrica in vico Speranzella, poi in via Armando Diaz dove invece c’erano fabbrica e negozio, come si usava allora. Del resto a quel tempo si produceva per il privato, il gioielliere era un artigiano, un artista”.

Enrico Tessitore senior in una foto d’epoca

Cos’è la campana di Capri, conosciuta come campanella, e come si lega ai Tessitore?
Attraverso varie ricerche e documenti ho ricostruito un pò tutta la storia. Si tratta di un’idea brevettata da mio nonno Enrico sul finire degli anni ‘20. La campanella caprese è considerata, ancora oggi, un portafortuna. La leggenda narra di un povero pastorello che viveva sull’isola di Capri e possedeva solo una pecorella. Una sera il fanciullo perse l’animale. Disperato sentì in lontananza uno scampanìo e lo seguì. Correndo arrivò sul ciglio di uno strapiombo e gli apparve San Michele che sfilandosi dal collo una campanella gliene fece dono dicendo di seguire sempre il suo suono in quanto lo avrebbe protetto dalle insidie della vita. Il pastorello ritrovò la pecora, regalò la campanella alla mamma e la sua vita cambiò per sempre. Mio nonno è, dunque, il creatore di questa campana, che sarebbe meglio definire nella sua prima versione campanaccio di quelli che cingono il collo di una pecora, per intenderci, proprio sulla scorta della leggenda. Questa campana-campanaccio, nella sua prima versione è tutt’ora in nostro possesso e reca proprio l’effigie di Michele. Copie della stessa e ciondoli di dimensione più piccoli, furono posti in vendita per la prima volta a Capri proprio sul finire degli anni ’20, non in una gioielleria, che allora non esistevano sull’isola, ma nella libreria Arcadia di proprietà del libraio tedesco Eugen Behle. Successivamente, però, negli anni ’40, i tedeschi lasciarono l’isola in seguito alla sconfitta nel secondo conflitto mondiale e la libreria chiuse. A questo punto la Campanella trova una nuova collocazione e, con un accordo di esclusiva tra Enrico Tessitore ed Olimpia Aprea, viene messa in vendita nel negozio di quest’ultima che è in piazza a Capri, a lato della cessata libreria e successivamente nel negozio della famiglia Cacace ad Anacapri. La campanella con l’avvento del comando americano ed il movimento che ciò determina diventa il souvenir per eccellenza, senza il quale non si può lasciare l’isola, come recitano cartelloni posti tra le vie capresi. Il successo è tale che sul finire della guerra l’allora sindaco di Capri, l’avvocato napoletano Giuseppe Brindisi, decise assieme alla popolazione, (dato il successo di questo souvenir chiamato dagli americani lucky bell), di far costruire una campana in bronzo sempre con l’effige di San Michele, alta circa 30 centimetri da regalare al presidente degli Stati Uniti. Mio nonno in quanto possessore del brevetto venne dunque chiamato per la realizzazione. Lui si occupò del disegno ed essendo non un gioiello ma una scultura incaricò uno dei suoi maestri orafi, lo scultore Giuseppe Di Pietro della sua realizzazione autorizzandolo anche a firmarla. Quest’ultimo per riconoscenza contemporaneamente realizzò un mezzo busto di Tessitore stesso. La campana in bronzo una volta realizzata venne consegnata al Colonnello americano Woodward di stanza a Capri con il mandato di farne dono al presidente americano Franklin D. Roosevelt.

La Campana di San Michele brevettata da Enrico Tessitore negli anni Venti

E cosa accadde alla campana?
La Campana fu talmente apprezzata nella sua simbologia che a fine guerra, per il V-Day, Franklin D. Roosevelt il 3 settembre 1945 in piazza a Washington la suonò in segno di pace, come riportato dai giornali americani dell’epoca dei quali conservo i ritagli. Alla morte di Roosevelt, a New York, fu istituita la biblioteca museo Roosevelt che raccoglie cimeli ed oggetti del presidente. Nella prima sala, appena il visitatore entra, è esposta proprio la campana caprese a lui donata. La storia della campana, però, non termina qui. Un vivace ed eccentrico assiduo frequentatore di Capri è Pietro Capuano. Questi aveva partecipato a tutti gli eventi salienti degli anni ‘40 accaduti sull’isola, compresa la consegna nel dicembre 1944 della campana al Colonnello Woodward. Qualche anno più tardi, nel giugno 1947, Capuano apre la prima gioielleria dell’isola, la Gioielleria Chantecler. Pensa di vendere un “suo” ciondolo della campana portafortuna e chiama mio nonno, il suo amico Enrico, e assieme creano quella che poi sarà definita la “Campana Chantecler” che si distingue da quella originaria in quanto, al posto dell’effige di San Michele, fu disegnato da Enrico Tessitore un gallo: il Gallo di Chantecler. Nacque così la campana Chantecler, ancora oggi venduta ed apprezzata in tutto il mondo. Successivamente, nel ’50, sull’isola di Capri, apre la gioielleria La Campanina che, come facilmente si intuisce dal nome, si identifica nel ciondolo originario: Lina assieme al marito Alberto ne sono i titolari. In particolare, Lina è una delle figlie di quella Olimpia Aprea alla quale mio nonno si era rivolto per la vendita della campana in precedenza, dopo la fuga dei tedeschi e la chiusura della libreria. Oggi il nome Tessitore viene associato alla campana? Assolutamente no. Oggi Tessitore è il gioiello tubogas. Siamo una tra le pochissime aziende specializzate che si identifica in un prodotto simbolo del made in Italy: il tubogas.

Di cosa si tratta?
È la cosiddetta maglia a serpente che nelle sue forme primordiali risale all’ epoca romana. Si tratta di una lavorazione artigianale fatta con l’ausilio di poche macchine. La maglia viene fuori da lastre di oro che hanno una larghezza tra i 2 e i 3 millimetri e uno spessore tra 0,20 a 0,30 millimetri, ciò ne determina il peso. Le due lastre vengono girate in una trafila ad “U”. Una si sovrappone all’altra ed avvolgendo il tutto intorno ad un tubo si crea questo flessibile che dopo vari procedimenti lavorativi manuali, prende vita. Su questo manufatto successivamente si assemblano elementi in oro e pietre che ne determinano la forma. Il gioiello in tubogas pur essendo un prodotto di nicchia è considerato un must in molte parti del mondo, particolarmente negli Stati Uniti.

I gioielli tubogas firmati Tessitore

Il 2020 è stato l’anno della pandemia. Cosa pensa del 2021 appena cominciato?
Anche il 2021 sarà un anno complicato. Credo che riusciremo a ripartire lentamente nel 2022, e come è accaduto per la crisi del 2008, ci riprenderemo. Questo è il momento di resistere e di guardare con fiducia al futuro, studiando nuovi progetti. Noi siamo proiettati per il prossimo anno sui paesi del Golfo e con l’ausilio della Camera di Commercio Italiana a Dubai nell’ambito di un progetto che comprende vari settori della moda Italiana ci impegneremo al massimo per perseguire i nostri obiettivi.

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