Editoriale: Povero Gabbiano… hai perduto il cliente!
Il “sistema produttivo gioiello italiano” è in ottima forma. La conferma viene anche dai numeri ma le criticità sono ancora tante.
La prima sensazione, a poche ore dalla chiusura di VicenzaOro 2022, è che il “sistema produttivo gioiello italiano” è in ottima forma. Aldilà della congiuntura economica e sanitaria mondiale che ha colpito tutti i settori, nei padiglioni di via dell’Oreficeria si è visto un susseguirsi di vetrine, brand e prodotti rappresentativi della migliore interpretazione del nostro made in Italy. Né piaggeria né campanilismo, piuttosto un riconoscimento dovuto a chi, tra mille difficoltà, continua a portare avanti una tradizione che fino a qualche anno fa ci ha posizionato quale primo esportatore al mondo. La conferma viene anche dai numeri: il giro d’affari 2021 è stato di 8,8 miliardi di euro con un valore export in netta crescita (+15,7% vs 2019).
La kermesse vicentina certamente non ha registrato le cifre delle precedenti edizioni ma ha convalidato il suo ruolo di hub strategico per gli operatori, come l’”esperimento” del Vo’Clock, salotto buono dell’orologeria mondiale, dove un piccolo drappello di maestri orologiai e maison blasonate sono venuti in “avanscoperta” per colonizzare spazi importanti da far crescere. La scelta del concept informale si allineava con l’omologazione degli stand creando un clima friendly in un settore molto più selettivo e specializzato rispetto a quello frazionato e stratificato della gioielleria – per le prossime edizioni sono previsti ampliamenti e sconfinamenti in settori attigui (packaging, accessori, ecc.) che sicuramente daranno un valore aggiunto importante. In questa scia si pone anche il salone T-Gold dedicato ai macchinari, segmento di mercato fondamentale a livello internazionale, penalizzato oggi dall’impossibilità da parte della fiera di poterlo ospitare all’interno della propria struttura. Ma dobbiamo leggere anche note negative, prima fra tutte l’inadeguatezza di buona parte dell’offerta del gioiello fashion: pochi riescono a fare la differenza e molto spesso non sono le grandi “aziende” ma le realtà più piccole. Da questo punto di vista la Glamroom continua ad essere una vetrina importante per farsi conoscere ed approcciare al mercato, ma è evidente la difficoltà da parte di alcuni brand, a differenza di quelli della gioielleria, di proporre fiera dopo fiera novità per i propri concessionari. Il risultato è vedere, ahimè, espositori “fenomeno” a braccia conserte in attesa di potenziali clienti (mi verrebbe da cantare “povero gabbiano…”).
Altro grande problema è il mercato interno, non è ammissibile disporre di un patrimonio così rilevante e posizionarlo nelle nostre gioiellerie in una percentuale così bassa. La colpa di chi è? Di una rete distributiva inadeguata? Di un lento e penalizzante cambio generazionale?
Da questo punto di vista vedo tante criticità e difficoltà difficilmente superabili a breve.
Ma pesa ancora di più l’immobilismo di alcune associazioni di categoria e veder stentare a decollare attività promozionali che avevano la finalità di supportare l’intera filiera.
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