Diamanti sintetici. Se li conosci non li temi
Serve conoscenza per isolare chi mina la credibilità dell’intero comparto orafo
A cura di Francesco Sequino Gem Tech- Istituto Gemmologico
CEO e Lab Director di Gem Tech – Istituto indipendente per la ricerca, la didattica e l’identificazione gemmologica
Ricordate la grande bolla dei cosiddetti diamanti da investimento? Fu una grande truffa perpetrata ai danni dei consumatori con la complicità di molti istituti bancari. Ma già oggi il mondo dei diamanti ha un’altra emergenza e cioè il riconoscimento dei sintetici dalle controparti naturali, una seria minaccia che mina la fiducia degli acquirenti e la percezione del loro effettivo valore.
Sorprende osservare come molti si pongano su questa questione seria che però preoccupa meno quando si sfruttino le giuste competenze. Vedo personaggi scaltri e avidi che immettono sintetici nel circuito commerciale. Sui social media vedo personaggi che si vantano di poter distinguere diamanti sintetici osservandoli semplicemente con un lentino. Tra gli addetti ai lavori si oscilla tra sconforto a facile spavalderia. O si semplifica o si complica, ma sempre oltre misura.
La gemmologia, che ha fondato sul riconoscimento sintetico/naturale il proprio successo, dovrebbe abiurare a questo compito proprio ora? Negli anni ’70 decollarono i principali istituti gemmologici proprio per rispondere al disagio dell’invasione di materiali incolori d’imitazione, YAG, fabulite, zirconia cubica, più tardi la moissanite. E con i certificati partirono i corsi per aggiornare gli operatori.
Fossimo rimasti a quella roba, l’identificazione sarebbe alla portata anche dei miei studenti di oggi: basta una strumentazione di base, ormai accessibile a tutti ed un po’ di esperienza. Ma con l’introduzione dei diamanti sintetici tutto si fa molto più complesso. I primi di questi, col metodo HPHT, presentavano inclusioni metalliche estremamente diagnostiche (erano spesso attratti da un magnete) ed inoltre esibivano forte fluorescenza ad onde corte. Ma nell’ultimo decennio i sistemi produttivi si sono evoluti, il livello di purezza è migliorato, i metodi ampliati (CVD e ulteriori post-trattamenti).
La contraerea dell’identificazione gemmologica si deve raffinare, inseguendo prodotti sempre più insidiosi. Gli strumenti da utilizzare sono sempre più sofisticati, i Diamond Detector devono essere sempre aggiornati altrimenti si rischia che i nuovi diamanti prodotti riescano a bypassare i check (vedi la fosforescenza oramai non più visibile ed elemento diagnostico fino a qualche anno fa). Spesso le informazioni ricevute da uno strumento devono essere confrontate e confermate dai dati ricevuti da altri: FTIR, Raman, l’UV-VIS-NIR, ed il costosissimo DiamondView. Chi lavora se li può permettere? No, ma conoscere le basi aiuta a far sorgere sospetti, l’incertezza evita qualche acquisto incauto e di conseguenza una perdita economica e di immagine.
Durante le mie lezioni esorto a diffondere la conoscenza: solo così è possibile isolare chi, per pochi euro di profitto in più, mina la credibilità dell’intero comparto orafo. Non è molto per far svanire completamente le nebbie del semplicismo, dell’approssimazione, dell’approccio fraudolento, ma almeno ci proviamo.
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