Carlo Palmiero, una passione nata da bambino
Un gioiello per emozionare il pubblico, deve prima emozionare me
Anelli come tele, per dipingere in pavé emozioni e forme. Per Carlo Palmiero realizzare gioielli è una passione iniziata quando da bambino osservava gli orafi valenzani intenti al loro lavoro.
E oltre cinquant’anni dopo lo fa ancora, nel suo laboratorio che nel frattempo è diventato un brand riconosciuto a livello internazionale.
Ma com’è nato questo amore per la gioielleria?
«La mia famiglia – racconta – si è trasferita a Valenza negli anni Sessanta, quando ero piccolo, e mi sono innamorato di tutto ciò che vedevo in città. Si respirava l’oro, era piena di laboratori artigianali e venivano persone da tutto il mondo a comprare e imparare il mestiere. Così tramite amicizie ho iniziato a frequentare le botteghe e ho scoperto il fascino dei lavori manuali e artigianali.
A che età ha iniziato?
A 11 anni tagliavo col seghetto e facevo i trafori. Passavo ore a montare e smontare oggetti, poi ho cominciato a fare modelli a mano, forme semplici, e questo mi ha spinto ad imparare le tecniche e i segreti di quest’arte. Ho frequentato la scuola orafa e poi ho cominciato giovanissimo ad andare a bottega, cercando di imparare qualcosa da tutti.
C’è un maestro in particolare che le ha insegnato i suoi segreti?
Ho preso qualcosa da tutti i laboratori che ho frequentato. A spingermi a intraprendere questa strada è stato Vincenzo Morosetti, dal quale ero molto affascinato, anche se poi è stato un altro maestro a trasmettermi le tecniche, i segreti, le malizie e una grande passione per questo lavoro.
E poi ha aperto il suo laboratorio
Sì, negli anni Settanta ho aperto la mia attività, nella quale ho potuto esprimere la mia vena artistica. Ho sempre avuto la tendenza a creare pezzi diversi da quello che era il gusto classico e nelle botteghe ogni tanto venivo rimproverato. Ho iniziato a realizzare oggetti a canna vuota, in metallo battuto, arricchiti con griffe e navette e a creare un mio stile personale. Ad esempio, all’epoca l’anello doveva avere una grande pietra al centro e il gambo era un semplice supporto, per me invece è protagonista. E nel 1979 ho lanciato il mio marchio, Palmiero jewellery design.
Gli anelli sono in particolare ciò che la contraddistingue.
Quando creo una collezione sono sempre il primo passo per vedere se può funzionare. È il pezzo a me più congeniale, quello che sento di più e su cui lavoro di più, smontando e rimontando, perché un gioiello per emozionare il pubblico, deve prima emozionare me.
L’amore per l’arte e per la gioielleria vanno di pari passo?
Amo l’arte a 360 gradi, sono appassionato di ciò che contiene una filosofia creativa, dall’arte antica a quella contemporanea. Per questo ho dato vita all’art collection, dedicata a pittori come Kandinskij, van Gogh e Matisse. Il gioiello per me non è solo lusso, ma ha una bellezza intrinseca, non parto dal prezzo, ma dalla creazione e cerco di rappresentare al meglio l’idea.
Il pavé le permette quindi di “dipingere” sull’oro?
Sì, mi consente di rappresentare la natura, che amo profondamente, perché penso che contenga già tutto quello che serve. Le pietre colorate, che acquisto personalmente, mi permettono di ricrearla con nuance e sfumature. Negli anni Sessanta acquistai uno stock di diamanti e pietre colorate e fui criticato, mi dissero che non sarebbero mai andate di moda. Invece ho creato il mio dna.
Oggi avete una sede ipertecnologica, ma lei crea ancora al banco?
Ho un mio spazio, in cui modellando in cera do forma alle mie emozioni, ispirazioni, sensazioni e ricordi. A volte partendo da uno schizzo, altre da un oggetto, come può essere una foglia di ginkgo arricciata in modo particolare; spesso direttamente dalla cera. E qui non devo essere disturbato. Poi i designer del team uniscono alla parte manuale i dettagli in 3D.
C’è un pezzo al quale è più legato?
Sono tutti miei figli, è difficile scegliere. Diciamo che i più significativi, perché hanno lanciato l’attività, sono stati le bubbles, il drappo e il gomitolo, la cui creazione ha richiesto sei mesi di lavoro, perché un oggetto deve essere bello ma anche indossabile, comodo e bilanciato, ma che ha avuto un enorme riscontro.
Qual è stato il momento più bello in tutti questi anni?
Quando attorno al 2000 gli oggetti fatti in un piccolo laboratorio di Valenza Po sono arrivati nelle boutique internazionali più esclusive, da New York a Pechino.
E il più brutto?
Le crisi, come nel 2008. Ma ci siamo reinventati e abbiamo deciso di differenziare e inserire l’orologio gioiello, che molti ci chiedevano. Anche il lockdown è stato un momento difficile, ma abbiamo continuato a creare nuove collezioni e migliorarci.
Al suo fianco adesso c’è anche suo figlio Luca, che lavora in azienda con lei, come sua moglie Lia.
Sì, sono contento di essere riuscito a trasmettere ai miei figli questa passione. Loro sono cresciuti in azienda, come io nelle botteghe, e Luca sta già lavorando con me da otto anni, mentre Fabio sta facendo esperienza altrove, ma spero che poi tornerà. Lavorare in famiglia non è sempre semplice, ma abbiamo trovato la giusta sintonia.
https://www.palmierogioielli.com
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