Alice Villa una figlia d’arte con la milanesità tra i suoi motivi di orgoglio

Lì, dove tutto è incominciato, tra attrezzi che già da piccola le erano familiari come giocattoli, e persone piene di voglia di fare che l’hanno educata al coraggio di provare, ha imparato il mestiere, e ha scelto di restare. Un passo affatto casuale. Questo rituale in casa Villa si ripete da 5 generazioni, ognuna facendo incontrare il senso dell’arte con il suo personalissimo linguaggio visivo, sovvertendolo, reinventandolo, perché tutto è mutevole, indefinitivo, ed Alice ne dà costantemente conferma facendo a meno degli stereotipi, attingendo da codici noti e ignoti per disporre di mille forme e di altrettante vie di fuga, ma di facile leggibilità.

Ma chi è Alice Villa? È una donna ‘giovane’ (prerogativa che più volte le sentirò ripete durante il nostro incontro, forse per porre particolare attenzione alla sua capacità di aver superato il glass ceiling in un settore, come tanti altri del resto, ancora di difficile accesso al mondo femminile), ambiziosa e curiosa, a capo della direzione creativa dell’azienda di famiglia, insieme a sua sorella Francesca, legate entrambe da partecipazione e rispetto. Certo, tenendo conto del valore della sua esperienza, buona parte dell’attitudine imprenditoriale ce l’aveva già scritta nel codice genetico, ma se non si è fatta trovare impreparata è anche per una indubbia vocazione a muoversi fuori dagli schemi, di spingersi a pensarla diversamente da quello che esiste già, a volte anche riconsiderando o, se necessario, contraddicendo le convenzioni, pur sapendo che ogni libertà presuppone una responsabilità.

È questo che serve ad una leadership? Le chiedo davanti ad un tavolo su cui una collaboratrice appronta un’esposizione delle creazioni più rappresentative.
Mi è stato offerto un bagaglio culturale immenso, un carico di conoscenze fondamentale per cui il gioiello è diventato parte della mia vita, eppure, quando mi è stato proposto di calarmi nel ruolo di imprenditrice, qualcosa di veramente nuovo per me, ho detto sì perché trovo gusto nel superare gli obiettivi. L’ho interpretato come una dimostrazione di fiducia da parte di chi mi ha preceduta, ed accettare è stata una dimostrazione di maturità da parte mia. So quanto sono realista e quale etica lavorativa spendo nel mio lavoro, indipendentemente dal cognome che porto. Faccio quanto è in mio potere perché il mio futuro e quello dell’azienda convergano”.

È il segreto del successo?
Nessuno ha il successo in tasca. Si procede per step. Sono fortunata perché faccio quello che amo, ma sento forte il peso del secolo e mezzo di storia di Villa Milano, che mi appartiene pienamente e che devo trasportare nel futuro”.

Ieri e oggi cosa hanno in comune?
Evidentemente l’idea di gioiello rimarrà quella di comunicare emozione ma evolvendosi attraverso una continua ricerca di variazioni e di esplorazioni di nuove qualità della materia, come incastonare una gemma importante sull’acciaio e non sull’oro. Un approccio inventivo con la costante di essere interpretabile, pur se in modi diversi. In azienda si è sempre fatto a meno di regole fisse, raramente, se non addirittura mai, si è lavorato su idee classiche per antonomasia, e ciò mi ha permesso di proseguire a colmare le distanze dal previsto, anche in soluzioni su misura”

Un esempio?
Mi mostra un grande album in cui tempo fa ha raccolto documenti e disegni originali di gioielli, già allora avanti nello stile e nella lavorazione.
Queste creazioni sembrano pensate per oggi – dice mentre sfoglia le grandi pagine protette da carta velina – qualcuna perfino per domani (sorride). C’era già tanta sperimentazione che alcuni modelli non hanno neppure necessità di aggiustamenti”.

Un esempio per tutti, non un gioiello ma una scultura/rompicapo, antesignana del cubo di Rubik, vincitrice all’Esposizione Universale di Parigi del 1889. Ma si sofferma su un attestato e sfiorandolo con le dita mi confida che nel prossimo futuro intende realizzare un libro attingendo a memorie e storie familiari dei Villa, e che i documenti raccolti saranno parte del progetto.

Gran bella storia da raccontare, ma – le chiedo – sul futuro quanto incide la crisi attuale e quanto le nuove tendenze si riflettono sulla gioielleria?
Credo che, al di là dei momenti e delle mode, è il lavorare bene che fa da catalizzatore”.
E mi invita a visitare il laboratorio, nel palazzo di fronte, basta attraversare la stradina.
Piccolo, strutturato a ogni livello. Ci lavorano in quattro – il capo laboratorio è con loro da trent’anni – ognuno con funzioni specifiche e padronanza tecnica. Sono parte attiva del marchio, e contribuiscono a concorrere alla sua affermazione perché, è indubbio, da sola l’idea non basta, necessita di un processo costruttivo che solo se affidato a mani esperte può dare forma a un disegno.

È tutto fatto qui con la giusta attenzione. È tutto italiano”.

Sotto una pioggia che non si stanca di venire giù, che volentieri lasciamo fuori dalla porta, Alice mi precede guidandomi nuovamente verso lo store, ma al piano superiore, dove proseguiamo la chiacchierata. È adibito a studiolo. Qui due antichissimi coromandel screen cinesi (mi spiega che sono del periodo Ch’ieng Lung – 1736-1796 – della dinastia Qing) separano, uno a destra e uno a sinistra, spazi di servizio. 
Ci accomodiamo in poltrone che sembrano oltremodo avvolgenti considerando il tempaccio che si coglie di là dalla finestra.

Potrei chiederle come si relaziona con i social ma è giovane e immagino che sia in buoni rapporti con essi, ma non da preferirli al contatto fisico. Ha piacevoli capacità relazionali e una percettibile sicurezza interiore. Sa quello che vuole senza troppi condizionamenti e la milanesità è tra i suoi motivi di orgoglio, un senso di appartenenza che sottolinea affermando “in ogni mio gioiello c’è un che di Milano”.

Cosa intendi?
Che il bisogno di strafare non ci appartiene”.
Si sfila la collana che porta al collo, una lunga catena dalla particolare lavorazione e dall’insolito accostamento materico, argento brunito e oro, un duetto che in fatto di eleganza supera la preziosità con superba eleganza. “Questa, ad esempio, se te la mostro la noti, e noti anche i dettagli che la fanno simile ad una maglia medievale, molto complessa, altrimenti con discrezione rimane un dettaglio del mio look. Amo dare ad ogni creazione un punto di interesse perché sia godibile senza ostentazione”.

Me lo conferma l’orecchino di una collezione in alluminio, ampiamente sottovalutato in gioielleria e, forse, ancora da scoprire o approfondire, particolarmente in questo modello incorniciato da zaffiri e diamantini.

Importante ma non vistoso, pur nelle dimensioni per nulla minute.

Casa Villa è un mondo al femminile?
Pensato e gestito dalle donne, sì, ma dedicando una buona fetta di creatività anche agli uomini. Credo che il gioiello giusto per lui siano i gemelli e qui li indaghiamo in infinite espressioni”.
Nelle vetrine, che cambiano scenografia ed esposizione ruotando su un congegno realizzato appositamente da amici architetti/decoratori, un anello attira la mia attenzione. Sembra un solitario, dico tra me e me, ma intuisce il mio pensiero e dice:

Lo è. Mi piace coinvolgere i clienti nell’ideazione dell’anello di fidanzamento o della fede perché sono i gioielli che, ci si augura, li accompagneranno per tutta la vita, per cui devono essere colmi di intimità e di significato. Devono avere tutto e il contrario di tutto dell’immaginabile perché rientrino nella tradizione ma sovvertendo gli standard”.

Impegnativo?
Gratificante. Per tenere testa alla concorrenza investo nella mia crescita personale quanto in quella aziendale addizionando idee a idee, naturalmente focalizzandomi sull’identità del marchio”.

Dunque, tanti progetti. Il prossimo quale sarà?
Sì, davvero tanti, tra questi quello di coinvolgere i ragazzi di una scuola di design orafo nella realizzazione di un gioiello a tema. Un concept a cui tengo molto. Il vincitore vedrà la realizzazione del suo prototipo, che sarà affidato alle mani dei nostri maestri artigiani”.

www.villa.it

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