Monica Cecchini, guardiana di un pezzo di mondo che non scende a patti

Incinque, RJW e l’arte contemporanea: tutto di là delle normali logiche

Nella galleria Incinque, Maria Rosaria Petito e Monica Cecchini al centro della foto con i designer (da sx), Emanuele Leonardi, Myriam Bottazzi, Chiara Fenicia, Pinella Distefano, Lorella Verrillo e Anna Pinzari

Botteghe, sanpietrini, suono di campane, rampicanti, pozzanghere (stanotte è piovuto?). Ancora sole, ancora tanto caldo. Vecchi portoni, uno di questi è l’ingresso della mia destinazione: Incinque Open Art Monti. Già, sono in Via della Madonna dei Monti. Tra poco incontrerò Monica Cecchini e, chissà per quale liaison, mi scopro a pregustare il piacere della prossimità. Con piglio nostalgico (concedetemi la digressione) considero di grande valore il contatto umano – alieno all’impersonale virtuale – e ringrazio chi, raccogliendo il mio invito, ancora una volta mi dà l’opportunità di un incontro in modalità live.

Eccomi. Varco la soglia e, quando illuminata di un amabile sorriso mi tende la mano, ho certa la sensazione che sì, vale la pena. Vale sempre la pena relazionarsi di persona.
In realtà mi era piaciuta già al telefono, per la voce forse. Immaginavo quei toni un po’ superbi di chi è e sa di essere, di chi è conosciuto e se ne compiace. Invece ha rivelato da subito disponibilità. E, capirò poi, gentilezza sincera.
Mi immergo in un’altra dimensione, in uno spazio di atmosfere e di alchimie interpretative assommate a strani linguaggi, addolciti da qualcosa di più o irrigiditi da qualcosa di meno nella necessità del rinnovamento.

Qui di ordinario non c’è nulla, nemmeno la location, una ex stalla del periodo medievale sulla cui architettura è stata innestata la sola modernità delle piccole teche disposte lungo il perimetro. E che si vada di intuito o di cuore, è la curiosità il medium per una inaspettata opportunità di dialogo o di riflessione e mi consegno all’innegoziabile forza delle suggestioni (in fondo non so se voglio veramente capire cosa c’è dietro).

Monica Cecchini e Maria Rosaria Petito, nella Galleria Incinque, Roma

Il già fatto è lontano (se non qui dove?). Per forza di cose l’arte – di ogni epoca – concorre alla costruzione di una forza diversa, consona al proprio tempo. Trancia i paradigmi radicati nella memoria, li fertilizza con dissacranti punti di follia o con manifestazioni più estreme (profetico Duchamp!). In ultima sintesi, è un sismografo della società, ma bisogna sradicarsi dai preconcetti per non inciampare nel gap del mutamento, e il ruolo di Monica Cecchini (architetto, designer, curatrice di eventi d’arte) è giusto quello di guidare nuove interpretazioni. E lo fa con rigore e occhio acuto.

Entro subito nella conversazione con una domanda secca. Da quando?
“Dal 2016. Abbiamo iniziato con le arti visive (una nota: il plurale ricorda che prima erano in 5, da cui il nome, più tardi avrebbe poi preso in mano le redini scortata da un istinto innato, caratteriale, altrimenti avrebbe fatto altro che fondare la “RJW” e investire le proprie forze perché “Incinque Open Art” diramasse emozioni). Ci siamo ampliati, come speravamo e come è stato, e abbiamo ideato la Roma Jewellery Week, un evento esclusivamente culturale, finalizzato alla valorizzazione del gioiello e all’incontro del patrimonio artistico storico con quello immateriale. Dal 2023 dedicato esclusivamente al Gioiello Contemporaneo”.

Per vie diverse, quindi, la galleria può dirsi la ‘miniatura’ della RJW?
“In un certo senso sì, si completano a vicenda perché entrambe sono dedicate esclusivamente al gioiello contemporaneo. Le esposizioni, gli incontri, le conferenze…, tutto è finalizzato alla crescita e alla valorizzazione della sua cultura. L’evento di punta è l’esposizione del contest Premio Incinque Jewels presso un sito archeologico, che nelle prime due edizioni è stato l’Auditorium di Mecenate, nella terza i Mercati di Traiano”.

Ambedue le manifestazioni sono una siepe di protezione contro false talentuosità e avanzo una provocazione: chi è legittimato a prevalere?
“Gli artisti che fanno sul serio”.

Quelli che vedo esposti?
“Sì. Sono tra quelli che fanno sul serio perché credono in quello che fanno. – Con un gesto della mano abbraccia metaforicamente le opere in mostra – Questi sono i lavori degli artisti residenti che espongono in maniera temporanea e che incontrano anche artisti di altre categorie, come ad esempio le arti visive, per realizzare insieme progetti e gioielli in concertazione o influenzati da diverse cifre stilistiche”.

In buona sostanza il gioiello contemporaneo ha una sua completezza ed è evidentemente un pezzo unico per il quale si è andati alla ricerca di una forma e di una materia che si esprimano al meglio reciprocamente.
Con la Galleria Incinque e la RJW, Monica attraversa la città e va molto più in là tessendo una fitta e diffusa rete di idee che migrano con grande senso di comunità. C’è feeling, c’è gruppo, c’è il fare insieme, per l’oggi quanto per il futuro, anche con professionisti del settore provenienti da ben oltre i confini, come Bryna Pomp, curatrice della sezione gioielli del MAD (Museum of Arts and Design) di New York. “E siamo molto orgogliosi di ospitarla alla quarta edizione della RJW”.

Per l’oggi quanto per il futuro, sottolinea, quindi un dialogo che si allarga anche alla tradizione e alle nuove tecnologie, e le chiedo, c’è rivalità o intesa tra due mondi poco affini come artigianalità e intelligenza artificiale?
“Che la second life sia stata il tema della passata edizione lo dice senza mezze misure che non ci sono limiti e lo proveremo ancora una volta con una prima mondiale, ovvero la performance di un musicista che suona uno strumento unico al mondo a 11 corde che incontrerà la musica realizzata con l’Intelligenza Artificiale, appunto. L’obiettivo è quello di crescere per far conoscere tutte quelle forme ed espressioni d’arte legate al Gioiello Contemporaneo, ma che sono anche espressione di design e del saper fare italiano, e perciò della maestria orafa, per cui intraprendere sempre più relazioni con realtà importanti: per la quarta edizione avremo la presenza della Milano Fashion&Jewels, ovviamente di Valenza con la quale collaboriamo per la Settimana del Gioiello con la Fondazione Mani Intelligenti presieduta da Alessia Crivelli; e poi Alessio Boschi, Percossi Papi che sta lavorando ad un progetto con Emiliano Alfonsi, un nostro artista residente, per un incontro tra gioiello contemporaneo e arte visiva. Avremo anche la presenza di molte scuole, della Romania, del Messico, della Corea, del Kuwait, lo IED Roma e l’Accademia Italiana”.

Bracciale Commistioni, di WEME.Jewels, nato dall’incontro delle due designer Chiara Fenicia e Anna Pinzari, vincitore del Premio Milano Fashion&Jewels 2023. “Ci siamo ispirate al Decostruttivismo che in architettura abbraccia forme anticonvenzionali e fluide unendo materiali anche in contrasto fra loro. Dal caos nasce un nuovo ordine”.

Per essere parte della community, dunque, bisogna possedere caratteristiche molto particolari. Qual è il lasciapassare?
“In assoluto l’immaginazione, per strappare via la normalità”.

Già! Ci vuole immaginazione per creare, per mettere in contatto cose, per tradurre in materia un pensiero criptico, per vestire differentemente le storie. Per vivere. Per mostrare l’altra faccia! Ci vuole quell’immaginazione che gli artisti traducono in oggetti che, spesso e sbrigativamente (e non incolpevolmente) infamiamo con un “l’avrei saputo fare anche io”. E allora mi tengo lontana dall’orlo delle eresie e mi consegno alle suggestioni, a quelle di Emanuele Leonardi (Emanuele Leonardi Jewels) che rievoca il ricordo, con chiari intenti simbolici collega pensiero e mente in piccole sculture in cui lascia scorrere momenti del proprio vissuto, fermi immagine della sua infanzia; di Myriam Bottazzi (Myriam B) che lavora la leggerezza dell’aria modellando superfici apparentemente impalpabili regalando tridimensionalità o, in opposto, focalizza sulla materia per recuperare l’irrecuperabile e mostrare le austere virtù pure di minute corna caduche; di Chiara Fenicia (Fenicia Bijoux) che si muove come un rabdomante tra oggetti persi o buttati via da tradurre in altri significati che non hanno più nulla a che fare con quello originario, perché non è vero che tutto finisce; di lei (Chiara) e di Anna Pinzari (WEME.Jewels) insieme recuperano un certo ruolo della ruggine rivendicandole un protagonismo sulla scena orafa e ne esibisce lussuosamente la sua brutalità; di Lorella Verrillo che guarda la natura da vicino, da molto vicino, senza mediazioni, perché sia vera, perché sia se stessa anche nelle bellezze imperfette; degli spettacolosi gioielli di Pinella Distefano (Dettaglidattimi) che non conoscono modestia per mettere in causa argomenti scottanti (uno per tutti, la Xylella) che da immateriali diventano materiali.

Hai portato un contributo autorevole alla conoscenza del gioiello contemporaneo, cosa ti auguri di vedere nella sua traiettoria?
“Che lo spettacolo continui!”

Vecchi portoni. Ancora sole, ancora tanto caldo. Residui di pozzanghere (stanotte non è piovuto!). Rampicanti, suono di campane, sanpietrini. Botteghe. Me ne torno a casa con una valigia ancora più carica di esperienze a cui riservo un aggettivo: rivelatrici. E sussurro ripetutamente la parola cultura per sentirne il peso, quello che ci stiamo lasciando sfuggire ma che alcuni (per buona sorte) sanno come salvaguardare.

Se chiedessimo a Monica Cecchini di descriversi direbbe: “Il mio impegno e le mie competenze tecnico-professionali si sposano perfettamente con il ruolo di creatrice della kermesse: si progetta anche quando si realizza un evento e resto architetto perché mi occupo anche dell’interior design […] Mi sono avvicinata al gioiello contemporaneo perché è un insieme di tante cose: comunica progettualità, deve lasciare un messaggio, che può essere anche solo tecnico. Il gioiello contemporaneo deve essere riconosciuto come pezzo unico e con un valore legato alla manualità, ad un gioiello di ricerca”.

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