Perle sempre più difficili gli approvvigionamenti

Covid, moria delle ostriche e mercato cinese che assorbe buona parte di una produzione già decisamente ridotta. Acquistare perle oggi è decisamente meno semplice ed economico di prima della pandemia, soprattutto – spiegano gli esperti – per quanto riguarda le misure ai due estremi. Da un lato quelle piccole e piccolissime, costosissime da coltivare, dall’altra quelle molto grandi, soprattutto australiane e tahitiane, anche per mancanza di tecnici che effettuino gli innesti.
Tutto questo, quindi, ha portato non solo a una difficoltà di reperimento della merce, ma anche a rincari importanti, che arrivano al raddoppio e oltre, in un contesto in cui il prezzo non ha un listino di riferimento, come accade invece per l’oro o i diamanti.

All’origine di queste difficoltà la peculiarità delle perle, che nascono da un mollusco che ha bisogno non solo di essere seguito, ma anche di particolari condizioni ambientali, che risentono dell’acqua troppo inquinata o troppo pulita e della produzione o meno di un determinato plancton. Condizioni venute meno durante la pandemia. Oltre a questo, la coltivazione e il raccolto sono legati a determinati periodi dell’anno, quindi a fronte di una moria è necessario comunque attendere il tempo necessario.
E al momento dell’Hamage, il raccolto, solo il 10/15% delle perle giapponesi e australiane è utilizzabile.
A peggiorare le cose il fatto che, a causa Covid o della concorrenza, molti coltivatori giapponesi abbiano cessato l’attività.

Ne abbiamo parlato con esperti del settore, che da anni lavorano in questo campo, come importatori o produttori di gioielleria con perle.

Raimondo Cozzolino

«Durante la pandemia e la sua recrudescenza ad Hong Kong e in Giappone, il mercato delle perle è stato danneggiato per l’impossibltà di coltivare le ostriche. Occorrerà aspettare maggio per comprendere quale raccolta reale ci sarà. È presumibile però che ci sarà un aumento dei prezzi con un incremento perchè la domanda è aumentata»

RAIMONDO COZZOLINO – F. C. Pearling

A tracciare un’ampia analisi del settore è Raimondo Cozzolino, della storica azienda commerciale.
«Il Covid non ha avuto la stessa durata e diffusione in tutti i paesi – afferma – e la recrudescenza dell’anno scorso a Hong Kong e in Giappone ha danneggiato il mercato delle perle. Già la prima ondata di pandemia aveva ucciso gli innesti fatti, per l’impossibilità di coltivare le ostriche, ma anche per le mutate condizioni del mare. Le coltivazioni del 2020 e 2021 avrebbero dovuto dare il raccolto per le perle del 2022, 2023 e 2024, ma l’80-90% sono morte. La ripresa delle restrizioni, nella seconda parte dell’anno scorso, ha portato a un’altra moria, su un numero di innesti già inferiore. Vedremo come sarà il raccolto di maggio».
A fronte di una produzione ridotta al 15/20% del normale, dopo le riaperture è invece aumentata la richiesta di perle giapponesi da parte del mercato cinese e di quello americano.
Questo ha portato a un’impennata di prezzi che però, secondo Cozzolino, prima della pandemia erano anche troppo bassi. «Verso la metà degli anni ’90 c’è stata una crisi, anche per l’avvento delle perle cinesi, e i prezzi sono crollati. L’aumento era inevitabile, ma sono ancora inferiori a 25 anni fa. Oggi purtroppo non c’è merce e anch’io ho clienti che mi hanno fatto ordini a settembre e ai quali sono riuscito a sbloccare qualcosa ora. A maggio, quando ci sarà il nuovo raccolto, sono convinto che i prezzi saliranno ancora, raddoppiando rispetto al pre-covid. In alcuni casi specifici, soprattutto per quanto riguarda le australiane più grandi, siamo già al +150%».
Queste sono infatti tra le perle al momento più rare, insieme a quelle piccole. «È difficile soprattutto trovare giapponesi tra i 2 e i 5 mm e australiane tra gli 8 e i 10 mm, in particolare materiale di qualità e quando lo trovi ha prezzi altissimi, perché i cinesi stanno facendo razzia. Lo stesso vale, appunto, peer le perle molto grandi. Quelle australiane di dimensioni importanti diventeranno una rarità».

Un po’ di prezzi? Un filo commerciale di perle giapponesi da 6,5/7 mm è passato da100/150 euro a 180/230 euro, uno extra da 500/600 a mille euro. Una coppia di perle australiane da 10-11 mm, è raddoppiata di prezzo, da 150/200 euro a 300/400. Una bella coppia di perle australiane di 14 mm da 40 carati totali si vendeva a 15/20 euro a carato, adesso è a 40.
«E non caleranno nemmeno quando ci sarà più merce – conclude Cozzolino – perché la domanda è aumentata».


Anna Gaia

«Da un lato, le perle stanno tornando di moda, facendo impennare i prezzi, dall’altro però le coltivazioni, in particolar modo quelle tahitiane hanno subito una brusca frenata perché durante il covid i tecnici – quasi tutti giapponesi – sono stati fermi»

ANNA GAIA – Utopia

Tra le aziende italiane famose per i propri gioielli con le perle c’è senz’altro Utopia, che tratta da un lato le perle cinesi d’acqua dolce e dall’altra quelle australiane e tahitiane. «Queste ultime rimangono le regine, le più belle a livello di lucentezza, ma il problema è che i prezzi si stanno alzando enormemente, perché dopo il Covid è ripartita la domanda, ma durante la pandemia la produzione è rallentata molto e oggi si fatica a recuperare i livelli precedenti. Soprattutto per quanto riguarda le perle nere di Tahiti, poi, c’è stato anche un altro problema: i tecnici che innestano i nuclei nelle ostriche sono quasi tutti giapponesi e durante il Covid sono tornati a casa. Le coltivazioni soprattutto della Polinesia Francese, più piccole rispetto a quelle australiane, non avevano quindi più tecnici per fare gli innesti».
A “peggiorare” le cose c’è anche la moda: «Le perle stanno tornando molto, come negli anni Ottanta – continua Gaia – e questo fa aumentare la domanda e i prezzi. Sulle australiane tra gli 11 e i 14 mm abbiamo visto rincari del 20/25%, mentre su quelle di 15 mm e superiori anche oltre il 40%. Noi realizzavamo un anello con perla australiana da 19 mm, già difficile da reperire prima, oggi si trova a prezzi molto importanti. Anche i fili di perle Tahiti da 16 mm sono difficilissimi da reperire, il problema è far capire ai clienti i rincari e la difficoltà a trovare il materiale».


Giuliano Castrenze

«La mancanza di prodotto e l’aumento della richiesta, soprattutto di fascia alta ha notevolmente alzato il prezzo, mentre invece c’è totale mancanza delle perle piccole giapponesi che oggi risulta troppo costosa e pertanto è completamente abbandonata la fascia di produzione con diametro inferiore ai 6,5mm»

GIULIANO CASTRENZE – Wdg, Golay

È conosciuto soprattutto per l’attività nel campo dei diamanti, ma dal 2019 Giuliano Castrenze è titolare anche del marchio Golay, specializzato proprio in perle. E anche lui in questo periodo sta riscontrando difficoltà e rincari.

«C’è un aumento continuo dei prezzi proprio a causa di una mancanza di prodotto e si fatica a trovare qualità alta – spiega – Inoltre ci sono sempre meno produttori, perché molti giapponesi hanno chiuso anche per la concorrenza delle perle d’acqua dolce cinesi». Anche per lui il problema è legato soprattutto alle perle di dimensioni ridotte. «La lavorazione delle perle piccole giapponesi risulta troppo costosa – spiega – oggi quindi partono da 6,5 mm contro i 2 mm del passato. A questo si affiancano la moria di ostriche e la forte richiesta dalla Cina, che sta assorbendo molta merce. Dopo il Covid, inoltre, la domanda è aumentata e le perle giapponesi di qualità stanno diventando rare, quindi chi le ha le può vendere praticamente al prezzo che vuole. Certamente rispetto al 2020 i prezzi sono saliti del 50%».


Alberto e Patrick Lembo

«La moria delle ostriche in giappone non è nuova, ma quest’anno si riscontra un abbassamento della produzione del 50% e la riduzione di merce fa sì che la vendita rimanga perlopiù entro i confini cinesi. Sul mercato italiano la sofferenza è lieve perché la richiesta principale si concentra sulle perle d’acqua dolce»

ALBERTO LEMBO – Lembo Pearls

Problemi riscontrati anche Alberto Lembo, titolare di un’altra azienda storica nel campo, che però nella sua analisi va anche oltre. «La questione della moria delle ostriche in Giappone non è nuova – sottolinea – ma quest’anno il problema si è accentuato tantissimo e hanno avuto un abbassamento della produzione del 50%. Io credo però che questo sia solo un rovescio della medaglia e che, essendoci poca merce e molta richiesta da parte della Cina preferiscano vendere sul mercato cinese che nel resto del mondo. Quindi aumentano i prezzi e rallentano le spedizioni».

Il Dragone è un mercato di sbocco anche per lo stesso Lembo. «Noi vendiamo lì sia per il 70% fili di perle giapponesi, australiane e tahitiane, che per il 30% gioielli in oro, perle e diamanti e sta rispondendo bene, a fronte di un rallentamento del mercato italiano. Anche i cinesi li fabbricano, ma non hanno la nostra qualità, né nel design, né nelle perle».

Anche per l’imprenditore torrese le difficoltà sono legate soprattutto alle perle di piccolo taglio, come le akoya di diametro 5-5,5 mm. Un indubbio vantaggio, in questa situazione, sono ovviamente i rapporti che da decenni le aziende storiche hanno coi fornitori. «Con alcuni commerciamo da 50 anni e non possono non darci la merce, anche se ne arriva meno di quella che chiediamo. Speriamo che tra qualche anno la produzione torni in linea con quella precedente al Covid. L’Italia, comunque, sta soffrendo relativamente questa situazione, perché si vendono soprattutto perle cinesi d’acqua dolce firmate, più che gioielli con perle di qualità».


Marisa Angelucci

«Abbiamo riscontrato anche noi un aumento del 50%, ma in generale anche se non abbiamo necessità immediata, grazie ai buoni rapporti con i nostri fornitori, riusciamo ad ottenerne per soddisfare le nostre necessità»

MARISA ANGELUCCI – Amlè

Ha risposto alla difficoltà di approvvigionamento sfruttando i propri contatti e acquistando al momento propizio Amlè, che utilizza le perle cinesi d’acqua dolce e in questo momento sta puntando molto su queste gemme.

«In questo momento – spiega la titolare Marisa Angelucci – stiamo vendendo molte collane. L’anno scorso abbiamo presentato la collezione Napoli che comprende un filo aperto in perle d’acqua dolce calibrate e perla barocca pendente ispirato ai café chantant degli Anni Venti ed è già diventato un pezzo iconico, che abbiamo riportato in fiera ed è stato subito ricomprato».
«Grazie al rapporto coi fornitori – continua – riusciamo a trovare il materiale che ci serve, acquistando quando ci informano di avere disponibilità di perle, anche se non ne abbiamo necessità immediata. In questo modo riusciamo a far fronte alla situazione, anche se gli aumenti ci sono e abbiamo registrato rincari anche del 50%».

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